Un recupero troppo lento

Il quadro di previsioni recentemente rilasciato dalla Commissione Europea conferma gli scenari tendenziali presentati dal Governo con il DEF. Tutte e due i documenti sono orientati a un pur cauto ottimismo per i prossimi anni. Quindi un punto a favore per chi vede un po’ meno buio il futuro. Se il 2015 segna, comunque lo si giudichi, un punto di svolta nella situazione italiana, non possiamo mai dimenticare che quanto si è perso con le due crisi (finanziaria e debito sovrano) configura un’Italia attuale molto diversa da quella del 2008.I residenti crescono del 2% (+1,2 milioni di persone), mentre il Pil si è ridotto di oltre l’8% e gli occupati sono diminuiti del 4% (da 23,4 milioni a 22,4), ma soprattutto producono meno valore aggiunto, sono meno qualificati e più anziani.
Quello che colpisce è l’estrema lentezza nel recupero di capacità produttive e nell’ imprimere la necessaria innovazione a tutti i livelli, da quelli tecnologici a quelli istituzionali, con conseguente impatto negativo sulle condizioni sociali. Nel 2004 il reddito disponibile pro-capite italiano era in linea con quello dell’area dell’Euro (circa 15.000€) oggi è inferiore dell’11% (15.700 contro 17.600). Con un’economia asfittica, diventa decisivo l’uso che si fa delle risorse pubbliche, sotto la pressione di interessi che cercano di recuperare una bassa competitività attingendo alle casse dello stato. E spendere male certo non accelera la crescita, ingrassa lobby e malaffare.
Sotto molti punti di vista le previsioni programmatiche rasserenano il clima, disegnando scenari di normalizzazione. Ma gli obiettivi rischiano di essere percepiti dai cittadini come troppo timidi, e non sufficienti a provocare una scossa a un sistema decisamente ancora impantanato. Per il Def il Pil resta nei fatti bloccato, nel prossimo triennio, a risultati simili a quelli del 2015, la pressione fiscale dal 42,6% del 2016 solo all’orizzonte del 2019 scende di un punto al 41,6%; il saldo primario crescente dall’1,6% del 2015 al 3,6% del 2019 fa pensare a nuovi tagli; modesti i proventi da privatizzazioni da 0,4% del Pil del 2015 al 0,3% del 2019. Ne può uscire confermata l’idea che la tassazione rimarrà elevata, che si pagherà più di quanto lo stato ci restituirà in servizi e che non si ridurrà il perimetro delle aziende pubbliche, così care a tutti i politici con potere di nomina. Soprattutto per giovani, ceto medio e contribuenti non è una prospettiva esaltante.
Giuseppe Roma

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