La qualità perduta della nostra economia

Come rispondere al grido di dolore che segue ogni nuova autorevole interpretazione della realtà italiana, come quella del Rapporto Istat 2016? Andando più a fondo sulle cause della bassa crescita, potremmo forse delineare strategie di più solido contrasto ai fenomeni che più ci preoccupano: denatalità, diseguaglianze, crisi generazionale, dualismo territoriale. Gli anni della crisi segnano una sorta di “indietro, ma non troppo”, nel senso che non di crollo si è trattato ma di assestamento verso il basso. I meccanismi economici della nostra epoca producono una dicotomia molto forte fra settori – guida ed economia diffusa. Le attività di punta (tecnologie, innovazione, digitale, intermediazioni, finanza…) generano valore e offrono migliori condizioni di lavoro. Ma sono quelle meno ricche per il lavoro dipendente (servizi personali, commercio, ristorazione…) ad assorbire gran parte della nuova occupazione, ma a condizioni sempre meno favorevoli. Da un punto di vista sociale, essere collocati in un girone o nell’altro fa indubbiamente la differenza. Ma anche per il prodotto nazionale è fortemente influenzato da come si compongono queste due componenti.
La realtà italiana ha subito di più e reagisce meno prontamente Ma in questo processo si è consumato un cambiamento di struttura che oggi rappresenta la vera fragilità di sistema. Va bene continuare a sottolineare le anomalie del mercato del lavoro, ma bisogna anche approfondire come è cambiata la sua composizione. Fra 2008 e 2015 si sono ridotte le professioni qualificate e tecniche, e gli operai e artigiani, in complesso circa 1,7 milioni di occupati in meno. Ma sono aumentate le professioni esecutive nel commercio e nei servizi per oltre 1 milione. Per tanto la riduzione quantitativa degli occupati (632mila in meno), si è accompagnata con l’impiego del capitale umano in lavori meno qualificati. Se osserviamo il fenomeno dal punto di vista dei settori troviamo -13,2% di occupati nell’industria manifatturiera e nelle costruzioni, ma +90,1% nei servizi alle famiglie, +15% negli alberghi e ristoranti e +10% nella sanità e assistenza sociale.
Le implicazioni politiche sono dirompenti: va bene alleviare il disagio sociale ma non lo si potrà fare a lungo se non si inverte questa spontanea tendenza ad abbassare il livello tecnologico e la qualità della nostra economia.
Giuseppe Roma

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