Per la crescita meglio gli investimenti

di Giuseppe Roma.

Entriamo nel vivo del dibattito sulla Legge di Stabilità e uno degli argomenti che più agita la discussione – dentro e fuori la maggioranza – riguarda il mix fra assistenza e investimenti. A giustificazione di un peggiorato equilibrio di bilancio viene sbandierata l’intenzione di stimolare gli investimenti e di sollecitare la domanda interna destinando maggiori risorse pubbliche direttamente alle tasche degli italiani. Quello di stimolare la crescita attraverso trasferimenti alle famiglie non è assioma statisticamente dimostrato, basti ricordare, a tal proposito, i dubbi sollevati sugli effetti macro degli 80 euro di Renzi. Nessuno nega, al contrario, i benefici impatti degli investimenti sullo sviluppo specie se ben indirizzati e gestiti. Nel 2001 la quota degli investimenti sul Pil era in Italia pari al 20,5%, nel 2017 è scesa al 17,3%. Agli inizi degli anni Duemila ci divideva dalla media europea e dai valori di Germania e Francia circa un punto percentuale, ora il divario supera i tre punti e arriva a quasi 5 sulla Francia. Le famiglie italiane investono leggermente più della media europea, mentre decisamente sotto si collocano imprese e istituzioni.
In Italia sugli investimenti pubblici pesa come un macigno la macchina amministrativa e una poco lungimirante guida politica. Realizzare infrastrutture è un groviglio pieno di stop and go: nessuna scelta è definitiva, nessun progetto è pienamente operativo, ma riserva sempre incognite, varianti, imprevisti. Il blocco della gara per la ferrovia Torino-Lione è un esempio di stretta attualità. In questo caso a fermare i lavori sono bastati i dubbi di un ministro, senza alcun provvedimento legale o inconveniente tecnico. Altro caso ricorrente riguarda l’impiego dei fondi della programmazione comunitaria 2014 -2020, per i quali ogni anno corriamo il rischio del disimpegno automatico delle somme stanziate (quest’anno al 31 luglio abbiamo sostenuto una spesa di 4,5 miliardi di euro pari al 53% di quanto programmato). La giustificata preoccupazione di perdere risorse disponibili, ha fatto passare in secondo piano quella per gli esiti effettivi degli interventi su sviluppo e occupazione. Non è pensabile che provvedimenti innovativi o stimoli agli investimenti possano produrre effetti sulla crescita senza adeguati strumenti di gestione delle politiche. E questa è la sfida più difficile su cui hanno fallito anche i programmi più ambiziosi.

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