Occupazione femminile, quel che non ha fatto il virus può fare la ripartenza

di Giuseppe Roma.

Finora Covid-19 ha mostrato una maggiore letalità verso gli uomini in età da lavoro (2,5% per le persone fra 20 e 60 anni) che verso le donne (0,6%) Il rischio è ora che con l’open-up e il graduale ritorno alla piena attività si rovescino gli impatti negativi del virus colpendo fortemente l’occupazione femminile. Diverse sono le ragioni alla base di una tale preoccupazione. Le circa dieci milioni di lavoratrici si distribuiscono soprattutto nei settori che l’ILO ha definito più a rischio: nel commercio e nel turismo (21,4%), nei servizi amministrativi all’impresa (13,4%) e alla persona (12,5%) l’industria manifatturiera (12,2%). In totale si arriva a sei occupate su dieci. Forte è, anche, la qualificata presenza femminile in comparti decisivi per il futuro come istruzione e sanità, dove se non ci saranno ripensamenti, potrebbero aprirsi nuove opportunità dopo la stagione dei tagli. Il lavoro delle donne è più precario di quello maschile visto che per il 32,9% è a tempo parziale anche con part time involontario (8,8% per gli uomini) e per il 17,3% è a tempo determinato specie nel commercio e nei servizi. Infine, gravano sul un terzo delle lavoratrici oneri e responsabilità nella cura dei figli più piccoli (meno di 15 anni). La conciliazione diventa difficile, nelle incertezza del supporto scolastico e in assenza di un piano che renda lo smart working una forma strutturale di inclusione delle donne nel mercato del lavoro.
Donne qualificate rappresentano un’energia vitale per il paese ma il loro minore potere effettivo rischia di farle subire un ennesimo arretramento di ruolo e di condizione. Sarebbe molto grave in un paese come l’Italia dove è evidente la strutturale ridotta partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Fra i grandi paesi europei, come è noto, il nostro mercato del lavoro include la quota più bassa di donne occupate pari al 42,5% del totale, a fronte di una media europea del 46%, e valori ancora più elevati di Francia (48,3%) e Germania (46,7%). Se si volesse almeno dimezzare il divario con l’Europa bisognerebbe porsi l’obiettivo di accrescere di 250.000 le nuove occupate l’anno per il prossimo triennio Al contrario, per intanto, purtroppo siamo qui a paventare un’ulteriore possibile diminuzione. Se effettivamente volessimo elaborare strategie d’innovazione a seguito della pandemia la questione femminile dovrebbe costituire il motore più importante per il cambiamento. Chi cerca di dare una visione d’insieme alle politiche nazionali per la ripartenza e chi rimprovera le istituzioni di non averne , ha una concreta battaglia da condurre con le proposte e con l’azione.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *