Non basta un Piano per tornare ad occuparsi di Sud …

di Giuseppe Roma.

E’ sempre da valutare positivamente lo sforzo di mettere su carta un insieme di possibili iniziative, progetti e finanziamenti con l’obiettivo di darsi un indirizzo di medio periodo, traguardando il prossimo decennio. E’ quanto prevede il “Piano Sud 2030 – Sviluppo e coesione per l’Italia” che delinea un programma di azioni a favore del territorio più in difficoltà d’Italia. Gli obiettivi non sono nuovi per i meridionalisti: il Sud è decisivo per il futuro del Paese, bisogna ridurre i divari, spendere bene i fondi europei e attivare le politiche di sviluppo e coesione. Sono “must” che purtroppo non scaldano il cuore dell’opinione pubblica né attraggono l’interesse dei soggetti istituzionali e imprenditoriali. Un po’ come i citati 17 obiettivi Onu sulla sostenibilità. Il Piano è molto preciso nel puntare sull’aumento degli investimenti quale strada maestra per lo sviluppo. Dal prossimo triennio, si renderebbero disponibili 21 miliardi in più rispetto a quello passato (+65%).

Inoltre, con la prossima programmazione, nel Mezzogiorno saranno disponibili 135 miliardi fino al 2030. Tuttavia, è ben noto che le disponibilità finanziarie pubbliche si tramutano con difficoltà in opere e sostegni efficaci alla crescita, specie nelle regioni meridionali dove sulla carta ci sono sempre tanti soldi, ma poi manca sempre tutto. E, infatti, il Piano per realizzare le sue missioni (giovani, innovazione, connessioni, Mediterraneo e svolta ecologica) prevede pure la rigenerazione amministrativa con l’assunzione di 10mila giovani per le politiche di coesione. Oltre all’utilizzo del credito d’imposta per la ricerca, gli investimenti e l’occupazione, non mancano proposte originali come il “reddito energetico” che deriverebbe dalla diffusione domestica dei pannelli solari. Ottimo, quindi, il tentativo di riaprire un dibattito sul Sud, da tempo trascurato. Tuttavia, al Piano manca un’idea forte in grado di convincere i troppi distratti e riluttanti.

Più che dalla teoria economica (non ebbero successo neppure i poli di sviluppo pur ispirati da grandi teorici come Myrdal, Hirschmann e Perroux) andrebbe preso in considerazione l’unico programma territoriale che ha avuto successo in Italia e cioè il Patto per il Lavoro dell’Emilia Romagna. Senza il coinvolgimento dei corpi intermedi, le politiche di sviluppo non hanno gambe su cui marciare. L’apporto centrale, poi, è decisivo, ma le agenzie nazionali devono innanzitutto individuare e supportare le migliori energie locali. Come sta facendo la Cdp, dovrebbero stare più vicine al territorio per orientarlo e sostenerlo. Infine, le Regioni meridionali non possono pensare di avere un peso politico senza assumersi una comune responsabilità, presentandosi unite all’opinione pubblica. Speriamo che il Piano, nonostante tutto, smuova qualcosa, perché la situazione del Sud si è fatta veramente pesante.

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