Gli effetti virtuosi del buon governo, almeno in Emilia Romagna

di Giuseppe Roma.

A determinare una vittoria elettorale concorrono molti fattori: la qualità dei candidati, la forza nel mobilitare gli elettori, l’efficacia dell’offerta politica, non da ultimo dare sfogo agli umori dell’opinione pubblica. Nelle elezioni territoriali, tuttavia, vale molto il giudizio sui risultati dell’amministrazione uscente, essendo maggiormente alla portata degli elettori: un fattore risultato decisivo nella vittoria del presidente Bonaccini. Alcune delle virtù rappresentate nello straordinario affresco di Ambrogio Lorenzetti sull’allegoria del Buon Governo, sembrano aver ispirato – pur a 7 secoli di distanza – anche le politiche regionali emiliano romagnole, in particolare la concordia e la fattività. I programmi regionali sono stati, infatti, guidati da un Patto per il Lavoro, sottoscritto da parti sociali, capoluoghi e università (circa 50 organismi) nel luglio 2015, con verifiche e aggiornamenti semestrali. Un piano di sviluppo condiviso, costruito insieme agli attori imprenditoriali e sociali, che ha segnato una convergenza effettiva di intenti e permesso di superare logiche verticistiche, con l’obiettivo comune di accrescere il valore aggiunto, l’occupazione e la qualità del lavoro. Ridotta al minimo la conflittualità, è stato più semplice attrarre investimenti, affrontare le crisi aziendali, imprimere dinamismo al sistema produttivo regionale.

Buon Governo anche perché sani principi hanno trovato una fattiva declinazione pragmatica, ottenendo buoni risultati in aree strategiche come la formazione (meno abbandoni scolastici e raccordo con le imprese), la ricerca (2% del pil regionale rispetto all’1,5% della Lombardia), la povertà (6,8% rispetto al 10,2% del Veneto). Certo non mancano le differenze interne alla regione che pur annovera in Italia ben 4 province fra le prime 10 per valore aggiunto pro-capite. La ricchezza ufficiale di Rimini, ad esempio, risulta di un terzo inferiore a quella di Bologna. Stesso discorso per la fascia interna appenninica. Queste le novità più recenti che affiancano una tradizione di efficienza nell’erogazione di servizi pubblici al cittadino e alle imprese. Una volta i comunisti dovevano dimostrare di essere in grado di governare sviluppando meglio che altrove sanità, servizi sociali, aree artigiane e urbanistica. Una storia passata che pur con alti e bassi è stata adeguata ai tempi. Se il voto avesse condannato tutto questo, più che a una crisi politica contingente avremmo assistito alla definitiva scissione della politica dal giudizio razionale sugli effetti del governo. Ma se, come ha affermato anche Salvini nella notte elettorale, gli elettori scelgono i migliori, il pericolo di un voto solo di “pancia” potrebbe essersi attenuato. Almeno in Emilia Romagna.

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