Il disastro delle Marche non è solo questione di clima e burocrazia

di Giuseppe Roma

Nel nostro paese accadono in modo ricorrente disastri ambientali le cui cause sono note ma i rimedi inesistenti. Almeno un tempo, pur nell’inerzia ordinaria, lo shock dei tanti morti produceva una reazione del sistema, ora neanche le catastrofi attivano le istituzioni. Infatti, nelle Marche, il piccolo fiume Misa, con un bacino di 377 kmq. (rispetto ad esempio ai 4.177 kmq del Piave), aveva già provocato, otto anni fa, lutti senza reazioni operative. Certo, gli effetti del clima hanno aggravato una già pericolosa situazione pregressa, ma non è accettabile addossare tutte le colpe ai cambiamenti climatici. Ha più senso chiedersi perché, pur essendoci le risorse finanziarie, non si sono realizzati gli interventi urgenti di salvaguardia. Una prima risposta è il confuso quadro di competenze in materia.

Il Misa è sotto la giurisdizione dell'”Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale” i cui compiti sono: lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia dei corpi idrici e della risorsa acqua e, dulcis in fundo, la difesa idrogeologica. Questa Authority redige un “Piano di gestione dei rischi alluvioni” del distretto, con relative linee guida che dovrebbero poi essere attuate dalle Regioni. A fianco di questo ente di programmazione, troviamo un altro organismo costituito dai firmatari del “Contratto di fiume”, cui partecipano enti locali e associazione e definisce un programma di azioni per il bacino fluviale di riferimento. Realizzare le opere era una volta competenza delle Province, poi passata alle Regioni che hanno coinvolto i consorzi di bonifica.

Questi e altri soggetti pubblici interagiscono in ogni fase del processo in quanto negoziano, mediano, rinviano, moltiplicano le soluzioni, assecondano i politici di turno ritardando l’ottenimento di risultati concreti. Programmazione, pianificazione, partecipazione senza un vero centro di responsabilità autorevole e motivato in grado di guidare i processi sono armi spuntate che non fanno crescere né le indispensabili competenze tecniche né una cultura condivisa favorevole alle opere pubbliche. Fin quando ragioneremo solo di soldi, spesa, risorse finanziarie, fin quando frantumeremo poteri perdendo di vista gli obiettivi concreti da conseguire, purtroppo saremo costretti a versare lacrime di coccodrillo sui disastri che continueranno a verificarsi. Temi che nessuno in campagna elettorale ha osato sollevare e non è un buon segnale per il futuro.

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