Non sparate (sempre) sui romani

di Giuseppe Roma.

E’ proprio vero, le buone notizie non fanno notizia. La giornata del 25 marzo era annunciata da mesi a rischio di attacco terroristico, di incidenti di piazza, con incendi e vetrine rotte. Questo è spesso successo in Italia (G8 di Genova) e in Europa nella ricorrenza di grandi eventi internazionali. Poi il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, con la presenza della testa politica di un continente, era certamente un possibile obiettivo delle numerose forme che ha assunto la violenza politica nei nostri giorni. Il successo della giornata, almeno per l’ordine pubblico, va interamente attribuito alle forze di polizia, all’organizzazione, ai servizi di informazione che hanno potuto operare in una città vuota.

Sì perché i romani – senza proclami o coprifuoco – hanno lasciato completamente il campo ai motociclisti, alle auto di scorta, ai cortei blindati di auto, ai presidi davanti agli alberghi che ospitavano le delegazioni straniere. Una Roma da ferragosto che ha consentito il controllo del territorio in modo visibile, ha reso impossibile manovre diversive, attacchi improvvisi, gesti isolati contro la folla. Per il cinismo che spesso accompagna certo giornalismo, si è persino parlato di una città impaurita, del solito menefreghismo dei romani, di assenza dei cittadini per disinteresse, esaltando al contrario la grande partecipazione dei milanesi alla visita del Papa. Come se Francesco non fosse il Vescovo di Roma! Va invece apprezzata una città che sa auto-regolarsi di fronte a grandi eventi, cui è abituata da secoli, almeno dai grandi trionfi dei consoli romani. Dal Giubileo del 2000, alle grandi folle per eventi vaticani, alle manifestazioni di piazza i romani non hanno mai fallito. Bisogna tenerne conto, marcando la differenza fra una classe dirigente cittadina inadeguata e un popolo romano, tutto sommato comunità reattiva.

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