Nella Capitale più carte che gru

di Giuseppe Roma.

Da qualche anno a Roma girano più carte che gru. Non mancano consulenze, incarichi, brogliacci d’intercettazioni, ordinanze di custodia cautelare, battaglie mediatiche, ricorsi e carte bollate. Ma di opere, infrastrutture, riqualificazione di quartieri, eco distretti non c’è, praticamente, traccia. Il valore aggiunto delle costruzioni, fra 2008 e 2016, si è ridotto, nella città metropolitana di Roma del 26%, L’edilizia vale a Roma (in termini di valore aggiunto pro-capite) la metà che a Milano eppure le costruzioni hanno sempre rappresentato un settore caratteristico della capitale. Nella sola edilizia residenziale, i permessi per costruire ( nuovo e recupero integrale) sono crollati dalle 14.198 abitazioni del 2008 alle 4.508 nell’anno più recente per cui si dispone di dati (2014). Certo il ciclo immobiliare è stato condizionato negativamente, anche nell’area romana, dagli effetti della doppia crisi che ha falcidiato redditi e posti di lavoro. Tuttavia, un risultato tanto magro non può essere attribuito ai soli fattori di contesto generale, in quanto è contraddetto da quanto sta avvenendo in tutte le grandi città europee, a partire da Milano, dove abbondano cantieri e realizzazioni. E’ il metodo che è diverso.

Le metropoli, perché possano rinnovare il proprio assetto urbanistico ed economico, devono ricercare una leale collaborazione fra pubblico e privato, in una precisa distinzione di ruoli. Sono le istituzioni locali, raccogliendo e interpretando le esigenze della collettività e le opportunità esistenti, a indicare gli ambiti urbani su cui intervenire, concentrando le risorse pubbliche per le infrastrutture ed eventuali funzioni istituzionali. Ad esempio il nuovo tribunale di Parigi di Renzo Piano è stato realizzato nella periferia nord della città anche come volano per un eco distretto residenziale cui ora stanno lavorando i privati. In quelle aree gli imprenditori, superando le vecchie logiche fondiarie, centrano il loro business su un ritorno degli investimenti basato sull’efficacia di quanto propongono al mercato. Se si rinuncia a una strategia condivisa, dando spazio a progetti che spuntano come funghi senza una logica integrata, il primo effetto è lo stallo conseguente agli sgambetti reciproci dei diversi attori interessati. Il secondo, quando i progetti dovessero essere realizzati, è il disordine e la frammentarietà, la mancanza di una massa critica sufficiente a supportare nuove reti infrastrutturali, con l’inevitabile declino produttivo e conseguente degrado della città nel suo insieme. Ed è quanto succede a Roma. Purtroppo.

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