L’impossibilità di essere normali

di Giuseppe Roma.

Ogni occasione è buona per la caccia al piccione, e cioè per sparare su chi ha responsabilità di governare la difficile situazione italiana. La ghiotta occasione referendaria finisce, così, per alimentare anche la polemica sui numeri dell’economia. Ma, purtroppo, le poche proposte concrete appaiono veramente fruste. Più investimenti pubblici: non riusciamo a spendere in modo produttivo le risorse che abbiamo, dovremmo ricercarne altre? Giù il cuneo fiscale: con quale Pil pagheremmo il lavoro, anche se meno costoso? Più liberalizzazioni: con quali regole di trasparenza e competizione? Fare affluire un po’ di soldi nelle tasche degli italiani, ma siamo certi che poi ripartono i consumi?
Nella realtà, queste ricette, pur valide in sé, non si fondano sulla realtà concreta del paese e pur nella loro parziale e contraddittoria applicazione, non sortiscono i risultati voluti. Il punto da cui partire è la bassa capacità di generare valore aggiunto, aggravata dalla crisi. Fra il 2008 e il 2015 l’Italia ha perso in termini reali il 6,9% del Pil, la Spagna il 4,6%, mentre la Francia (+3,8%), la Germania (+6,3%) e il Regno Unito (+7,7%) hanno continuato a crescere. Nello stesso periodo, il tasso d’occupazione italiano (occupati su popolazione 20-65 anni) è sceso di 2,9 punti al 60,2%, confermandosi il più basso fra i grandi paesi europei, che si attestano fra il 78% della Germania e il 70% della Francia.
Per quanto si possa alleviare, con incentivi, l’impatto sociale della bassa occupazione o dare maggiore libertà ai datori di lavoro, purtroppo l’occupazione non è una variabile indipendente, ma è strettamente correlata alle capacità produttive e a quanta parte del mercato globale un sistema è in grado di conquistare. Come ha affermato il direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi, la rivoluzione tecnologica è molto più pervasiva di quanto non venga percepita nel nostro paese. Se non concentriamo gli sforzi su questo punto, non metteremo mai in fila i problemi. Riportando a “normalità” la concatenazione dei processi economici.

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