Interoperabilità una catena tecnologica per la nuova frontiera dell’e-government

 Uffici pubblici, cittadini, imprese devono essere in grado di operare reciprocamente: questo il requisito fondamentale per favorire la semplificazione amministrativa e l’uso corretto delle procedure informatiche.

 

di Paolo Subioli

 

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“Interoperabilità” è un termine tecnico che al primo impatto può risultare piuttosto ostico, ma il cui significato è, in fin dei conti, intuitivo: sta a significare la possibilità di operare reciprocamente. Si tratta di un requisito essenziale, nell’ambito dell’e-government, dove lo scambio – di informazioni, di documenti, di dati – è l’attività principale che consente la realizzazione delle procedure amministrative con l’aiuto delle nuove tecnologie. E’ insomma necessario che i diversi uffici, e le diverse persone e macchine, per i quali transita una determinata procedura, parlino tutti lo stesso linguaggio e siano già d’accordo a priori sulle modalità per eseguire ogni passaggio. La regola vale a tutti i livelli:

  • all’interno di ciascun Ente, dove i diversi uffici devono dialogare fluentemente per via telematica, con procedure condivise ed accettate da tutti, senza duplicazioni, con una chiara attribuzione dei compiti, delle responsabilità e dei privilegi d’accesso alle informazioni;
  • a livello regionale, dove i sistemi ed i servizi attivati dai vari Enti devono essere integrati, consentendo la piena cooperazione, per arrivare ad offrire agli utenti finali servizi completi e realmente integrati;
  • a livello nazionale, rispetto al quale devono essere stabiliti degli standard comuni di riferimento, che consentano ad un Ente di dialogare con un qualsiasi altro Ente, ottimizzando le risorse esistenti, e a ciascun utente finale di ricevere veri servizi amministrativi on line, in grado di adattarsi velocemente al mutare delle esigenze;
  • a livello europeo, per consentire sia ai cittadini di poter sempre contare sui servizi di e-government ovunque si spostino rispetto al proprio luogo di residenza, sia alle imprese di poter effettuare pratiche in qualsiasi paese UE.

E’ proprio l’Europa che, nell’attuale momento, spinge su questa strada, con la pubblicazione – a seguito della Conferenza di Cernobbio – del Working Paper della Commissione “Interconnettere l’Europa: l’importanza dell’interoperabilità per i servizi di e-government”. La tesi principale dell’interessante documento – disponibile solo in lingua inglese sul sito europa.eu.int/ISPO/ida/ – è che l’interoperabilità fra i sistemi per l’offerta dei servizi di e-government è una necessità che deve superare i confini nazionali, soprattutto a causa della crescente mobilità all’interno dell’Unione. Ma in realtà il paper, analizzando i diversi risvolti dell’interoperabilità, e ponendo l’accento su questo fondamentale aspetto dell’e-government, offre un contributo rilevante anche a prescindere dalla dimensione europea.

Vediamo dunque cosa si intende precisamente per interoperabilità.
Essa è “come una catena, la quale consente alle informazioni e ai computer di essere collegati sia all’interno dei confini dell’organizzazione che tra diverse organizzazioni, amministrazioni, imprese, cittadini”. Riguarda tre aspetti:

  • l’interoperabilità tecnica, che concerne questioni tecniche di collegamento tra sistemi, la definizione delle interfacce, il formato dei dati e i protocolli, comprese le telecomunicazioni;
  • l’interoperabilità semantica, che si occupa di assicurare che il significato esatto delle informazioni scambiate sia comprensibile da qualsiasi altra applicazione, anche non pensata inizialmente per quel determinato scopo;
  • l’interoperabilità gestionale, che si occupa di modellare i processi di lavoro, allineando le architetture dell’informazione con gli obiettivi dell’organizzazione, e di aiutare i processi di business nella cooperazione”.

C’è n’è quindi per tutti i gusti, nel senso che se l’interoperabilità tecnica e quella semantica sono affari di cui si devono occupare i tecnici (e non è cosa da poco), l’interoperabilità gestionale è un aspetto che incide direttamente e profondamente sulle modalità operative degli Enti, riguardando i dirigenti di ogni settore, e modificando le abitudini di qualsiasi dipendente pubblico.

Il punto chiave è bene noto a tutte le (poche) organizzazioni, pubbliche e private, che hanno provato a ridisegnare i propri processi di lavoro a seguito dell’introduzione delle nuove tecnologie. I processi vanno estesi fino ad includere partner, fornitori e persino clienti. Si pensi, ad esempio, al fatto che il cittadino che compila modulistica on line è come se entrasse nella sede dell’ente e si aggirasse tra gli uffici, aprendo da solo cassetti per prendere moduli e timbri. Ma i nuovi paradigmi a cui è necessario fare riferimento sono incompatibili con il tradizionale modello gerarchico, universalmente diffuso nella Pubblica Amministrazione, che tende ad adottare sistemi di informazione a compartimento stagno. Essere interoperabili al proprio interno significa consentire alle informazioni di circolare senza steccati, perseguendo la cooperazione al posto della rigida suddivisione di mansioni e compiti, semplicemente col fine di essere più efficienti. E’ questo il presupposto per estendere lo stesso modello all’esterno, in modo da poter cooperare efficacemente con tutte le altre organizzazioni.

Pubblicato su: Guida agli Enti locali – Il Sole-24 Ore, n. 38, 4 ottobre 2003

 

 

04 Ottobre 2003

 

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La nuova frontiera della città digitale

 

Internet e la sfida della banda larga

 

La rincorsa allo sviluppo tecnologico nella Pubblica Amministrazione non ha colmato il divario tra le diverse aree del Paese. La partita decisiva si gioca con le infrastrutture telematiche avanzate e con la banda larga.

 

di Paolo Subioli

 

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Fino a qualche anno fa, era ancora possibile credere che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, a causa del loro basso costo d’introduzione, potessero contribuire in maniera significativa a colmare il divario di sviluppo tra le diverse aree del nostro Paese. Oggi possiamo dire che non è andata così, e che anzi la disponibilità di infrastrutture telematiche avanzate si sta aggiungendo agli altri indicatori, quale misura del gap che separa le regioni del Nord da quelle del Sud, ma anche i maggiori agglomerati urbani dalle aree a bassa densità abitativa. Lo ha messo chiaramente in evidenza una recente indagine su “La banda larga nelle regioni italiane” realizzata da Between, ed inclusa nel “1° Rapporto sull’innovazione nelle regioni d’Italia”, pubblicato nell’ambito del progetto “Centri Regionali di Competenza per l’e-government e la società dell’informazione”. Il Rapporto, voluto dallo stesso Governo, ci ha restituito un’immagine cruda della disponibilità di banda larga nel nostro territorio, la quale interpella direttamente le istituzioni affinché si facciano carico di una situazione che, se lasciata al solo mercato, non farebbe altro che aggravare uno dei problemi storici del nostro Paese – quello del divario Nord-Sud – soprattutto se si tiene conto del fatto che alle reti per il trasporto dei dati sono connesse dinamiche del tutto simili a quelle delle altre infrastrutture, in quanto a capacità di condizionare sviluppo economico e trasformazioni sociali.

E’ però indispensabile chiedersi se serva veramente a qualcosa, la banda larga, e a che cosa. Poiché i miti tecnologici dell’era Internet ci hanno ormai assuefatto alla rincorsa continua di novità e di prestazioni sempre maggiori, spesso senza tenere conto della reale utilità delle innovazioni, anzi producendo, in molti casi, sovrabbondanza di servizi non richiesti. Oggi, con le offerte di connettività a banda larga che si stanno pian piano diffondendo tra le imprese e le famiglie, si può cominciare a fare opera di discernimento, per capire cosa cambierebbe veramente se la “Internet veloce” fosse largamente disponibile in tutto il Paese.

Per le imprese, innanzi tutto, c’è la prospettiva della videoconferenza, una tecnologia che renderebbe davvero fattibile il ricorso a forme avanzate di telelavoro, di delocalizzazione delle attività e di collaborazione tra postazioni di lavoro remote, secondo il paradigma della impresa a rete. Non si pensi ai tanti interventi in videoconferenza che ammorbano i convegni con trasmissioni video incomprensibili, precedute da interminabili attese. Se si dispone di attrezzature adeguate, e di vere connessioni in banda larga, una riunione in videoconferenza tra due sedi distanti diventa una efficientissima riunione virtuale. La stessa tecnologia risulta naturalmente utile anche per gli Enti pubblici, per gli stessi usi, ma anche per casi particolari, come i teleconsulti medici.

La medicina è infatti un altro tra i campi d’applicazione più promettenti, soprattutto perché la chiarezza delle immagini in tempo reale – quando non addirittura la disponibilità di macchinari tele-comandabili – rende possibile il ricorso agli specialisti senza che questi si debbano ogni volta muovere di persona. La banda larga associata alla firma digitale, inoltre, potrà consentire ai medici di famiglia di richiedere on line esami diagnostici e poi consultare ugualmente a distanza i relativi referti. Se si tratta certamente di una prospettiva fantascientifica per la maggior parte delle ASL, si deve considerare che già oggi ci sono molte strutture sanitarie pubbliche in grado di produrre referti in formato digitale.

Ma, secondo l’opinione degli esperti, siamo ormai arrivati al punto che la banda larga serve semplicemente ad utilizzare Internet in maniera efficiente. I contenuti multimediali del Web, infatti, con una semplice connessione via modem, tramite la linea telefonica, comportano attese interminabili, durante le quali è più facile addormentarsi che appassionarsi all’uso delle tecnologie interattive, e certamente in queste condizioni l’ascesa di Internet come mezzo di comunicazione universale non potrà essere di certo irresistibile, con conseguente ritardo nello sviluppo tout-court dell’intero Paese.

Va naturalmente considerata implicita l’estensione di tale considerazione all’e-Government: chi potrebbe mai pensare, difatti, che i vari delicati passaggi del flusso comunicativo legato ai procedimenti amministrativi possano essere gestiti effettuando ogni volta il collegamento tramite una telefonata, pregando poi che non ci sia nessuna interruzione?

La banda larga è dunque la prossima frontiera nel processo evolutivo di Internet, e in quanto tale assume i caratteri dell’attualità, se non addirittura della priorità, quale fattore di sviluppo locale.

Regioni ed Enti locali possono far molto in questo settore, per correggere all’interno dei propri territori gli squilibri connaturati al mercato, che di per sé tende ad emarginare le zone meno densamente popolate. La Provincia di Pisa, ad esempio, è particolarmente all’avanguardia, poiché ha deciso di utilizzare il Piano territoriale di coordinamento (PTC), che è lo strumento di programmazione tipico dell’Amministrazione provinciale, per includervi anche un programma di cablaggio. Il programma a cui si sta lavorando include il disegno di grandi dorsali, l’individuazione delle caratteristiche della rete, ed alcune nuove regole, come quella che imporrebbe la posa di canalizzazioni per la fibra ottica per ogni scavo di una certa entità. Quello dello scavo è uno dei maggiori problemi, per i forti costi ed i disagi che porta, ed è pertanto l’ambito su cui gli Enti possono incidere maggiormente, affrontandolo con lungimiranza, oculatezza ed equità di trattamento tra i vari attori economici.

Un approccio radicale (anche nel dispiego di risorse) è quello adottato dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, tra le più sfavorite dal punto di vista orografico. Il programma VINCES (Valle d’Aosta Internet Network for Community, Enterprise, Schools) – promosso dalla Regione Autonoma con il contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale e della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino – sta portando sul territorio un’infrastruttura telematica all’avanguardia, per consentire di accedere alla Rete tramite banda larga in gran parte della regione. Il programma sfrutta il collegamento satellitare bidirezionale (VSAT) per distribuirne i benefici tramite punti dislocati sul territorio, in base a due distinte tipologie:

  • quattro e-Center (di cui uno già realizzato), destinati ad aziende e scuole; ubicati presso le “pépinières d’entereprises” (incubatori d’impresa) e le istituzioni scolastiche, offriranno postazioni informatiche avanzate per la teleformazione, la videoconferenza e l’accesso a risorse di rete locale con tecnologia wireless;
  • dieci Isole Polifunzionali dislocate sul territorio, soprattutto nelle aree meno raggiungibili, con lo scopo di mettere a disposizione di ogni cittadino postazioni di accesso ad Internet con tecnologie avanzate, satellitari e wireless; nelle Isole il cittadino può portarsi il proprio PC portatile, oppure usare le postazioni esistenti; alcune Isole sono sef-service, altre sono presidiate da operatori specializzati.

Banda larga: glossario essenziale

  • ADSL
    Tecnologia che consente di raggiungere alte velocità con un collegamento telefonico standard, grazie alla asimmetria del collegamento: ad alta velocità in entrata e bassa in uscita. Richiede una centrale telefonica attrezzata ad hoc.
  • Backbone
    Reti in fibra ottica a lunga distanza che collegano le città o i grandi centri urbani.
  • Banda larga
    Termine che comprende la connettività Internet ad alta velocità (per lo meno 300 Kb/s, ma si comincia ormai a considerare come soglia minima i 2 Mb/s), ottenibile con varie tecnologie.
  • Dorsale
    Termine italiano equivalente di “backbone”.
  • Fibra ottica
    Tecnologia che consente di trasmettere grandi quantità di dati, grazie alla posa di particolari cavi costituiti da sottilissime fibre di vetro.
  • HDSL
    Tecnologia di trasmissione ad alta velocità (da 1544 Mb/s a 2048 Mb/s) che utilizza linee telefoniche ordinarie per la trasmissione dati. Necessità dell’installazione di una doppia linea, cioè di due doppini telefonici. Non consente l’uso contemporaneo della linea per la trasmissione telefonica standard.
  • ISDN
    Integrated Services Digital Network. Rete telefonica digitale per voce e dati che consente velocità di trasmissione a 128 Kb/s.
  • MAN
    Reti in fibra ottica realizzate nelle città per consentire l’offerta di servizi di trasporto e accesso al cliente finale.
  • SATELLITE
    Un satellite digitale consente di ricevere, grazie a un’antenna e un modem, contenuti con velocità fino a 2 milioni di bit al secondo.
  • XDSL
    X Digital Subscriber Line (linea di accesso digitale). La x indica le varie configurazioni della tecnologia DSL, ad esempio ADSL, HDSL, RADSL, UADSL, UDSL, VDSL. Tecnologie per la trasmissione digitale a banda larga dei dati tramite la consueta rete di accesso con cavi di rame.
  • WAN
    Reti in fibra ottica realizzate per distribuire la connettività Internet sul territorio.
  • WI-FI
    Tecnologia recente che permette di far dialogare e di collegarsi alla Rete ad alta velocità (11 Mb/s) dispositivi senza fili (wireless) entro 50 m di diametro in un ambiente chiuso. Già presente in molti aeroporti, si sta diffondendo molto rapidamente in alberghi ed altri locali pubblici.

Pubblicato in: Guida agli Enti locali-Il Sole-24 Ore, n. 29, 26 luglio 2003.

 

 

26 Luglio 2003

 

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Innovazione, nuova risorsa del federalismo

 

Innovazione

 

Per vincere la sfida della modernizzazione amministrativa vanno sfruttate appieno le potenzialità tecnologiche puntando a una comune visione di sistemi in grado di portare risultati senza diseconomie.

 

di Paolo Subioli

 

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L’attuale processo di trasformazione dello Stato in senso federale è destinato ad avere un forte impatto sull’intera architettura organizzativa della Pubblicfa Amministrazione, offrendo importanti opportunità in termini di ripensamento delle attuali modalità organizzativo-gestionali. E il caso vuole che la parallela diffusione delle tecnologie informatiche – ma probabilmente non è affatto un caso – richieda proprio una riorganizzazione in senso reticolare, basata sulla cooperazione paritaria tra i diversi livelli di governo, con conseguenti forti ricadute sul piano operativo. Sembra quindi che siamo ad un punto di svolta, il quale va affrontato nella consapevolezza che un salto considerevole – in termini di efficienza ed efficacia del settore pubblico – può effettivamente essere compiuto, ma solo a determinate condizioni, la prima delle quali è la diffusa adozione di una “visione” condivisa su come questo processo debba essere attuato. E’ questo il messaggio principale lanciato dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca, tramite il documento “L’e-government per un federalismo efficiente – una visione condivisa una realizzazione cooperativa”, presentato lo scorso 8 aprile a Torino.

L’attuazione del federalismo, dunque, secondo la “visione”, comporta uno spostamento di poteri, competenze e risorse pubbliche verso gli Enti più vicini ai cittadini, alle imprese e al territorio – quali Regioni ed Enti locali – con conseguente valorizzazione delle capacità di autogoverno e del rapporto tra cittadini e istituzioni. Ciò comporta nuovi assetti organizzativi e rapporti istituzionali, ma soprattutto inediti approcci culturali “di sistema”. Serve quindi una comune visione di tutti gli attori istituzionali – amministrazioni centrali, regioni, enti locali – per realizzare le aspettative di migliori servizi, senza diseconomie.

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono la risposta a questa esigenza, poiché esse consentono di porre in modo nuovo il problema del rapporto tra autonomia locale e necessità di armonizzazione dei processi innovativi a livello nazionale, in quanto “strumenti per la cooperazione e il coordinamento”, cioè tecnologie che possono facilitare e semplificare il rapporto tra soggetti diversi. Questa potenzialità, insita nell’utilizzo delle ICT, è diventata oggi una necessità, poiché il federalismo impone una cooperazione “paritaria” tra i diversi soggetti istituzionali. Ma il documento del Governo ci avverte che tale disegno non può essere attuato tanto con tecnologie e metodologie tradizionali di coordinamento, quanto mediante un “profondo, pervasivo e consapevole utilizzo delle tecnologie ICT”.

Più prosaicamente, l’immane sforzo organizzativo, che dovrà portare la P.A. italiana a trasferire in periferia la gran parte delle proprie funzioni, dovrà essere economicamente sostenibile. Infatti, il trasferimento tout court, con conseguente replica delle medesime procedure in centinaia di contesti locali diversi, potrebbe tradursi in uno spreco gigantesco, se non addirittura nel caos. Il Governo chiama perciò oggi la galassia degli Enti pubblici alla condivisione di un progetto comune, che consenta di procedere in autonomia nei singoli contesti, ma in maniera debitamente coordinata, e tenendo sempre ferma una meta condivisa, con le Regioni a fare da trait d’union tra le istituzioni centrali e gli Enti locali, o meglio, da poli forti d’aggregazione. In tale contesto, solo le nuove tecnologie possono garantire l’adozione di protocolli comuni, la replicabilità delle soluzioni ed il loro “riuso”, il coordinamento, l’adozione di standard – uguali per i cittadini di Bolzano come di Siracusa.

Il documento di Stanca ha così l’obiettivo di fornire alle amministrazioni centrali, alle Regioni ed agli Enti locali, un quadro di riferimento condiviso, sia tecnico che organizzativo, in grado di garantire una attuazione coerente e coordinata dei processi di e-government in tutto il territorio nazionale. Vengono presi in considerazione vari temi, dalla sicurezza alle strutture organizzative, affrontati però dal solo punto di vista della visione strategica, e non da quello, ad esempio, delle soluzioni tecnologiche, la cui scelta viene demandata esplicitamente al mercato.

Se questi dunque sono i contenuti proposti nel documento di indirizzo del Governo, a che punto siamo effettivamente? Cosa succederà nei prossimi mesi? C’è innanzi tutto da capire come si arriverà ad avere sistemi di e-government coordinati ed omogenei, nell’ottica del federalismo, cioè come faranno le Regioni ad adottare al proprio interno sistemi completamente compatibili tra loro; anzi, realizzati secondo i principî virtuosi del riuso. I vari strumenti di programmazione negoziata saranno la sede per trovare risposta a questa ed altre domande. Pertanto potrà esserci un accordo sull’adozione di standard comuni (sia tecnici che organizzativo-procedurali), in base al quale ciascuna Regione potrà poi procedere autonomamente. Oppure sarà necessario un coordinamento a livello centrale, facendo ricorso alle strutture organizzative per l’attuazione dell’e-Government, tuttora in corso di ridefinizione, dopo le incertezze riguardo la soppressione dell’AIPA.

Solo dopo che sarà sciolto questo nodo, si potrà dire che ci saranno le condizioni per passare alla “seconda fase” d’attuazione dell’e-government, e sbloccare conseguentemente gli altri 120 milioni di Euro che rimangono da spendere, dopo il bando di un anno fa. I criteri per impegnarli saranno molto diversi rispetto a quelli dell’Avviso che ha consentito di finanziare 138 cantieri di e-Government, i quali hanno permesso di avviare progetti su tutto il territorio nazionale. Ciò che servirà nei prossimi mesi sarà un’estensione orizzontale, una “spalmatura” dei progressi compiuti, per consentire al maggior numero di amministrazioni pubbliche di beneficiarne. I temi portanti della prossima fase saranno pertanto:

  1. l’estensione a livello regionale dei servizi già implementati grazie al primo Avviso, per assicurarne una distribuzione uniforme su tutto il territorio nazionale;
  2. una particolare attenzione nei confronti dei piccoli Comuni, i quali potranno partecipare all’e-government solo grazie allo sviluppo di centri di servizio territoriali, e grazie all’apporto di enti intermedi, tipo Province e Comunità Montane;
  3. il finanziamento di alcuni filoni a carattere sperimentale, come la cosiddetta e-democracy, ovvero lo sviluppo di forme di interazione telematica che possano consentire la partecipazione diretta della società civile alla gestione della cosa pubblica.

I temi dell’e-Government che richiedono una “visione” condivisa

  1. L’interconnessione tra tutte le pubbliche amministrazioni e tra le pubbliche amministrazioni i cittadini e le imprese.
  2. Gli strumenti di accesso ai servizi erogati sul canale telematico
  3. Le modalità di erogazione dei servizi sul canale telematico
  4. I requisiti per garantire la sicurezza
  5. Le architetture che garantiscono l’interoperabilità dei servizi sul territorio nazionale
  6. Sistemi federati e riuso delle soluzioni
  7. Le strutture organizzative per l’attuazione dell’e-government
  8. Le architetture condivise di sistema

 

ORGANIZZARE LA STRUTTURA

Cooperazione tra: Struttura Organizzativa
Amministrazioni ed Enti centrali Autorità per l’informatica nella Pubblica Amministrazione.

Centro Tecnico per la Rete unitaria. della Pubblica Amministrazione.(entrambi in via di sostituzione con l’Agenzia Nazionale per l’Innovazione Tecnologica)

Amministrazioni/Enti centrali e Amministrazioni locali
  • Commissione permanente per l’Innovazione e le Tecnologie, costituita il 21 marzo 2002 tra i Presidenti delle Regioni ed il Ministro Stanca.
  • Comitato permanente per l’Innovazione e le Tecnologie, costituito il 12 novembre 2002 tra l’UPI ed il Ministro Stanca.
  • Commissione permanente per l’Innovazione e le Tecnologie nei comuni, costituita il 19 dicembre 2002 tra l’ANCI ed il Ministro Stanca.
  • Tavolo congiunto permanente, previsto dal DPCM 14/02/02, del quale fanno parte rappresentanti delle Regioni, dei Comuni, delle Province, delle Comunità montane e delle Amministrazioni centrali coinvolte nell’attuazione del piano.
  • Strutture di concertazione nei vari settori (Sistema Informativo del Lavoro, Sistema Informativo della Sanità, …).
Regioni
  • CISIS – “Centro Interregionale per il Sistema Informatico ed il Sistema Statistico”, nell’ambito del quale opera il Coordinamento dei responsabili dei sistemi informativi delle Regioni.
Regioni ed Enti locali (nell’ambito di ogni territorio)
  • Comitati di coordinamento tra la Regioni e gli Enti Locali del territorio, istituiti per lo sviluppo dei piani regionali per la società dell’informazione, e articolati secondo la specificità di ogni regione.
  • Centri regionali di competenza per l’e-government e la società dell’informazione (CRC). Nelle regioni in cui sono presenti e operanti i Comitati di coordinamento sopra descritti, i CRC svolgono funzione di supporto tecnico a tali comitati.

 

 

 

Articolo pubblicato in: Guida agli Enti locali – Il Sole-24 Ore, n. 18, 10 maggio 2003

 

 

10 Maggio 2003

 

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Risorse Umane

 

Risorse umane: il vero motore dell’innovazione

 

Sono sempre più le persone, e non le tecnologie a rappresentare la risorsa strategica in grado di creare innovazione.

 

di Paolo Subioli

 

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La crescente domanda di modernizzazione del settore pubblico, sollecitata sia dall’interno che dall’esterno, sta gradualmente portando ad una crescita d’interesse verso l’area delle risorse umane, contribuendo a focalizzare l’attenzione su questa componente del cambiamento organizzativo rispetto alle altre.

Dalla seconda metà degli anni ‘90 l’attenzione è stata rivolta in maniera quasi ossessiva agli aspetti tecnologici, con il timore diffuso – a tutti i livelli istituzionali e sull’intero territorio nazionale – di non essere in grado di accedere ad una piena cittadinanza nell’emergente società dell’informazione. In pochi anni la Pubblica Amministrazione è stata così investita da un vero e proprio processo di modernizzazione tecnologica grazie ad un complesso di iniziative centrali e – soprattutto – locali.

Tutto ciò è avvenuto in maniera quasi del tutto indipendente dalla programmazione nazionale. Le iniziative a livello centrale non sono riuscite ad essere determinanti per la realizzazione dell’e-government nel nostro paese: prima la Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione (Rupa), poi il Piano d’Azione per l’e-government (nelle due distinte edizioni dei governi D’Alema e Berlusconi), infine l’istituzione del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie. Sono state tutte azioni importanti, ma che non hanno saputo dare l’idea di un paese che si muove decisamente in una direzione univoca, seguendo un disegno preciso. Ne è testimonianza l’attuale situazione di grave squilibrio territoriale, che è già riscontrabile in un settore praticamente nuovo, in gran parte determinato dalla diffusione di tecnologie che richiedono livelli d’investimento contenuti. Un’eccezione è per certi versi costituita dall’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (Aipa), un organismo indipendente che, travalicando i confini che sono propri di un’authority, ha fornito un importante supporto agli enti pubblici, specialmente in termini normativi, e che è però stato soppresso, facendone confluire le funzioni nell’alveo governativo del Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie.

L’inesorabile, progressiva e spontanea digitalizzazione degli Enti ha perciò reso il settore pubblico un po’ più moderno, ma non ha affatto risposto alla sfida che era sottesa a questo processo: la digitalizzazione dei procedimenti, con il loro conseguente alleggerimento, e quindi una velocizzazione del lavoro pubblico, un visibile aumento d’efficienza, una diminuzione dei volumi di carta circolanti negli uffici. Tutto ciò non è avvenuto, se non in minima parte, ed è per questo che si è cominciato a guardare alle persone che dovrebbero usare i computer, più che ai computer stessi, come snodo essenziale per la realizzazione del cambiamento.

Ridando centralità al capitale umano, la Pubblica Amministrazione ha individuato nell’innovatore la figura guida del cambiamento in corso. Ma innovatori si nasce o si diventa? Probabilmente non esiste una risposta univoca a questa domanda, ed occorre dunque tener conto sia delle condizioni di contesto che delle caratteristiche individuali dei singoli soggetti.

Di innovatori la Pubblica Amministrazione ha sempre avuto bisogno. In passato, quando nulla esisteva se non la rigida e compassata osservanza delle competenze assegnate, la capacità innovativa dei singoli si concretizzava nella volontà/capacità di individuare, nelle pieghe della normativa vigente, la possibilità di derogare ai meccanismi spesso inceppati della macchina burocratica. Tale atteggiamento solo in senso lato è classificabile come innovativo è piuttosto una forma di creatività esercitata in un contesto di limitati gradi di libertà. Ciò nondimeno, le soluzioni originali tendevano a divenire prassi allorquando risolvevano problemi concreti e, in qualche modo, introducevano elementi di innovazione.

Oggi, a seguito della conclamata esigenza di riformare la pubblica amministrazione, e a fronte dei tanti provvedimenti orientati a questo obiettivo, la figura dell’innovatore comincia ad assumere contorni ben delineati all’interno di nuovi scenari decisamente più interessanti.

Fondamentale è il contesto culturale nel quale l’innovatore potenziale si trova ad operare e che, in qualche modo, fornisce la legittimazione di base per il suo agire. A questo occorre aggiungere l’attribuzione di importanza delle nuove istanze riformiste al fattore umano, sia in termini di coinvolgimento negli obiettivi definiti e di cooptazione nei processi, sia rispetto all’inserimento in programmi formativi finalizzati a rendere disponibili nuove modalità di approccio (management, telematica, orientamento al cliente, gestione gruppi di lavoro, ecc.).

Per tornare alla domanda iniziale, tuttavia, si può ritenere che il contesto favorevole non crea di per sé l’innovatore, ma semplicemente ne favorisce l’emersione. L’obiettivo alto che possono porsi le politiche riformatrici di nuova generazione, per gran parte riconducibili al modello del new public management anglosassone, è di arrivare ad una valorizzazione della capacità creativa degli innovatori in vista di obiettivi generali connessi allo spirito riformista.

Questo non sempre è agevole, anche perché il tratto che maggiormente sembra caratterizzare gli innovatori è l’attitudine, questa sì tutta individuale, a concentrare l’attenzione sugli obiettivi e i risultati, piuttosto che sulle procedure formali. Di quest’ultime la Pubblica Amministrazione ha comunque bisogno, e in questo senso sembra corretta l’affermazione secondo la quale l’innovazione è una disubbidienza riuscita.

Tentando un parallelo con il settore dell’imprenditoria privata, un contesto nel quale l’innovatore è qualcuno che ama o accetta il rischio d’impresa, ci si può chiedere qual è il rischio a cui accetta di esporsi l’innovatore nella pubblica amministrazione. In prima istanza si può pensare alla diffidenza dei colleghi nell’ambito della struttura di appartenenza. L’innovatore potrebbe essere considerato come mosso da sterile velleitarismo, a fronte di una sfiducia generalizzata verso possibilità di cambiamento introdotte dal basso. In secondo luogo occorre considerare i rischi, anche molto concreti, di collisione con il sistema politico, espressione dell’autorità costituita spesso mossa da obiettivi ed interessi strategici non riconducibili esclusivamente all’ottimizzazione dei singoli processi produttivi.

Anche coloro, siano essi élite politica o amministrativa, che nella pubblica amministrazione credono profondamente nell’esigenza di un percorso di riforma e accettano le nuove sfide che provengono dall’evoluzione normativa, potrebbero mal sopportare l’azione di quanti anticipano le riforme ridefinendo, con il loro protagonismo, le caratteristiche di un contesto comunque in via di trasformazione.

L’ulteriore rischio che ne deriva, e che in qualche modo discende dal primo, è quello dell’isolamento dell’innovatore che, non compreso, finisce per tentare di circoscrivere la propria azione all’ambito nel quale più investe emotivamente. Questo tipo di situazione, in realtà, risulta in buona parte scongiurata dallo sviluppo delle reti di relazione tra coloro che condividono un medesimo approccio, analoghi obiettivi e strumenti di lavoro.

Testo tratto dal 36° Rapporto sulla situazione sociale del paese della Fondazione Censis

 

 

15 Marzo 2003

 

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e-government

 

e-government: in Italia 138 progetti al via

 

L’importanza di un coordinamento tra i vari livelli amministrativi, al di là della proliferazione delle singole soluzioni informative.

 

di Mauro Di Giacomo

 

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Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione avvicinano le persone alle istituzioni semplificando in primo luogo i rapporti di cittadinanza con le pubbliche amministrazioni locali e centrali. Le reti e l’informatica, almeno in linea teorica, possono svolgere anche una funzione di coordinamento tra i diversi livelli di governo, promuovendo la gestione orizzontale dei servizi e l’ottimizzazione dei flussi informativi tra i diversi centri decisionali.

Quest’ultima prospettiva, che pone l’integrazione informativa al centro dei processi di e-government, appare assumere, tuttavia, nell’attuale fase, una nuova e diversa connotazione che va interpretata anche in relazione alle riforme in atto riguardanti il nuovo assetto federale dello stato: le nuove tecnologie sembrano infatti poter realizzare una riassetto organizzativo che, andando oltre le logiche della devoluzione e sulla base di un mero criterio di economicità e di uso efficiente delle tecnologie, contiene espliciti modelli di accentramento tecnologico-istituzionale.

Il necessario coordinamento nell’azione degli enti locali a cui sono devolute funzioni di governo (soprattutto tra quelli che insistono su di un medesimo territorio) sembra così lasciare il passo ad un nuovo approccio che supera la prospettiva dell’ottimizzazione delle risorse locali, prevedendo invece un sostanziale accentramento di funzioni e servizi informativi a livello centrale. Una coerente azione di e-government in un contesto nel quale regioni ed enti locali sono chiamati ad assumere ruoli decisionali sempre più ampi, dovrebbe invece porsi non solo il problema del coordinamento tra enti territoriali, ma anche di definizione di modelli di cooperazione paritaria dei sistemi informativi, tra regioni, enti locali ed amministrazione centrale. L’obiettivo deve essere di evitare la proliferazione di sistemi e quindi l’uso inefficiente di risorse collettive e allo stesso tempo di garantire ampi livelli di autonomia per tutti gli enti coinvolti. L’attuazione delle azioni di e-government sta già ponendo concretamente la questione dell’integrazione e del coordinamento, delle risorse informative e dei progetti tra tutti gli attori coinvolti: pubblica amministrazione centrale, regioni ed enti locali. Il piano di attuazione dell’e-government che ha portato nella seconda metà del 2002 all’approvazione di 138 progetti da cofinanziare presentati da amministrazioni locali e regionali, sembra, infatti, evidenziare quel processo di proliferazione delle soluzioni informative, di piattaforme e di sistemi software, che ha sempre caratterizzato lo sviluppo informatico nel nostro paese, e che l’introduzione massiccia delle nuove tecnologie in tutte le amministrazioni rischia ormai di far divenire insostenibile anche per effetto dei costi delle licenze e delle royalty sui software, che in assenza di effettive strategie di apertura alle soluzioni informatiche open source, incidono sempre di più.

Tra gli enti partecipanti ai progetti finanziati, beneficiari del finanziamento, vi sono 19 Regioni, 2 Province Autonome, 93 Province, 3.574 Comuni e Unioni di Comuni, 218 comunità Montane ma anche 79 Asl, 22 università e istituti scolastici, 16 amministrazioni centrali e 8 prefetture.

L’ammissione al finanziamento, almeno secondo le linee guida del governo, doveva essere subordinata al rispetto da parte dei progetti oltre che dell’operatività immediata (prevedendo una esplicita finalizzazione alla realizzazione di servizi on-line), anche della capacità di aggregazione degli enti proponenti, al fine di massimizzare il numero di Amministrazioni coinvolte nei finanziamenti. L’ammissibilità del progetto sarebbe dovuta dipendere anche da una esplicita previsione della possibilità di riutilizzare le soluzioni, al fine di valorizzare le soluzioni migliori e più rapidamente disponibili e favorire lo scambio di esperienze e competenze tra amministrazioni, nonché di prevedere standard tecnici di riferimento per favorire la convergenza dei progetti in termini di architetture tecnologiche. Le soluzioni di e-government locale che hanno ottenuto il via libera da parte del governo per la concessione di finanziamenti pubblici sembrano solo parzialmente rispondere a questi requisiti sostanziandosi in portali territoriali e locali, potenzialmente in sovrapposizione tra di loro e con le altre iniziative gia esistenti, oppure riguardando applicativi e servizi per la sanità e il lavoro dove sono comunque in corso iniziative di e-government a livello centrale.

Guardando alle iniziative finanziate relativamente ai servizi per cittadini e imprese si osserva come abbiano passato il vaglio della commissione ben 44 portali di tipo territoriale che appaiono talvolta sovrapporsi a risorse on line di tipo specialistico anch’esse ammesse a finanziamento. Tra i progetti prescelti si evidenziano, ad esempio, in una stessa regione un portale per l’accesso all’e-government regionale, una risorsa on line per i comuni in rete di una sola provincia, ed una risorsa informativa on line sull’ e-mountain.

La proliferazione soggettuale e informativa riguarda in realtà tutti i contesti territoriali del paese. Sebbene siano state prescelte anche in funzione della loro capacità di aggregare più enti, le iniziative premiate dal governo evidenziano con forza la necessità di un ulteriore sforzo di coordinamento orizzontale su base territoriale per ridurre ridondanze e sovrapposizioni locali.

Le iniziative approvate investono anche aree di attività rispetto alle quali è necessaria una chiara esplicitazione degli impegni e delle funzioni da parte della Pubblica Amministrazione centrale, soprattutto riguardo alla sanità ed ancor di più rispetto al welfare ed al lavoro su cui le azioni degli enti locali sono più intense e rispetto ai quali i ministeri mantengono una ampia operatività. Proprio in merito alla gestione di strumenti on line per il lavoro, ad esempio, a livello locale sono già state realizzate diverse applicazioni con una evidente frammentazione di interventi, anche per effetto dei ruoli attivi su questa tematica assegnati alle province oltre che alle regioni. In questo contesto va evidenziandosi il rischio concreto di una sovrapposizione di realizzazioni e quindi di un potenziale conflitto tra iniziative degli enti territoriali con le azioni che si vanno realizzando a livello nazionale. Il piano per l’e-government prevede, infatti, di finanziare sei iniziative locali finalizzate a realizzare sistemi informativi per il lavoro su base locale. Si tratta di progetti approvati senza che sia stata ancora messa a punto e condivisa una precisa strategia a livello centrale di integrazione dei diversi sistemi informativi locali in modo da rendere pienamente disponibile, su tutto il paese e per ogni cittadino, uno strumento on line per promuovere le opportunità di lavoro su base nazionale.

Il governo si trova quindi di fronte all’esigenza duplice di coordinare le iniziative territoriali, offrendo eventualmente soluzioni tecnologiche in forma sussidiaria alle regioni ed agli enti locali che non intendano provvedere autonomamente, ed allo stesso tempo di produrre standard per l’interoperabilità tra i sistemi informativi delle regioni e degli enti locali predisponendo infrastrutture tecnologiche che, a livello nazionale, garantiscano l’interconnessione dei sistemi regionali e locali.

Nelle scelte del governo, però, la dichiarata necessità di arrivare al superamento della frammentazione esistente nella pubblica amministrazione territoriale nella implementazione di sistemi informativi, “per evitare il rischio che il processo di modernizzazione produca diseconomie” sembra contenere anche la prospettiva di un accentramento della gestione degli applicativi e attraverso di essi delle relative politiche. Manca una chiara scelta di indirizzo verso soluzioni informative e sistemi infrastrutturali unitari e aperti, fondati su di una logica di cooperazione ed integrazione paritaria tra soggetti.

Lo stesso obiettivo che il portale nazionale per i servizi al cittadino Italia.gov.it si pone, dichiarando esplicitamente di voler costituire “un’unica sede virtuale in cui si incontrano la domanda di informazioni e servizi del cittadino e l’offerta di informazioni e servizi della pubblica amministrazione centrale e locale” sembra far riferimento più al modello dell’accentramento tecnologico che al portale inteso come risorsa cooperativa.

Il governo, pur ribadendo nei documenti di programmazione sulle politiche di governo digitale emanati nel corso del 2002, che alle regioni sono assegnate le funzioni di coordinamento, mentre ai Comuni “in virtù della loro tradizionale funzione di front office con i cittadini e gli utenti spetta il compito di erogare i cosiddetti servizi prioritari”, definendo anche una soglia di tre quarti di tutti i servizi appartenenti a questa categoria (Obiettivo 1 del piano e di Egov), nelle concrete attività poste in essere non sembra sgombrare il campo da una prospettiva di accentramento tecnologico che traspare, ad esempio, osservando come nei documenti inerenti le strategie di attuazione del portale nazionale della Pubblica Amministrazione sia assegnata ai comuni la funzione di popolamento del portale nazionale.

Anche l’utilizzo della cosiddetta metafora di comunicazione “Eventi della vita” per classificare i servizi erogati non in base all’organizzazione della Pubblica Amministrazione ma alle necessità dell’utente, sembra indirizzare verso questa modalità organizzativa dei servizi on line. Consentire un accesso ed una fruizione delle informazioni e dei servizi della pubblica amministrazione da parte del cittadino-utente in modo facile e intuitivo prescindendo dall’organizzazione, appare uno scopo apprezzabile. La sfida per il governo sarà, però, anche quella di tener fede all’obiettivo, non facile, anch’esso esplicitato in più occasioni, di lasciare alle singole amministrazioni la titolarità e responsabilità dell’erogazione dei servizi assegnando al portale nazionale la funzione di strumento in grado di offrire la più ampia valorizzazione dell’impegno di ciascuna amministrazione al servizio agli utenti.

Testo tratto dal 36° Rapporto sulla situazione sociale del paese della Fondazione Censis

Consulta le nostre segnalazioni sull’e-Government

 

 

15 Marzo 2003

 

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Innovatori

 

Innovatore, figura emergente nella PA

 

Chi sono gli “innovatori”, coloro che nella PA dimostrano sensibilità e propensione al cambiamento.

 

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Il Censis ha operato alcuni tentativi volti a ricostruire il profilo e le caratteristiche di base di coloro che, da protagonisti, si confrontano con la problematica dell’innovazione all’interno della pubblica amministrazione. Un primo percorso di indagine, realizzato nel 2001 su stimolo del Dipartimento della Funzione pubblica, è stato tarato su un target di funzionari che, nel partecipare in prima persona a programmi speciali in cui risultavano coinvolte le amministrazioni di appartenenza, hanno mostrato una particolare sensibilità per le problematiche del cambiamento e dell’innovazione.

Nella tavola 1 si riportano le caratteristiche strutturali del campione intervistato, arrivando a presentare quattro differenti profili così come emergono da una cluster analysis realizzata a partire dalle principali variabili utilizzate.

Innanzitutto occorre rilevare che né il livello di istruzione né l’uso delle tecnologie informatiche e telematiche costituisce oggi un elemento discriminante. Infatti i 2/3 del campione dispongono di un diploma di laurea o addirittura di un master post lauream e solamente il 10% circa degli intervistati non usa la rete internet né a casa né in ufficio.

Per quanto concerne i quattro gruppi tipologici individuati attraverso l’analisi statistica bisogna subito sottolineare che trattandosi di un campione di funzionari non generico ma in qualche misura selezionato, prevalgono le figure di coloro che, a fronte delle caratteristiche evidenziate, si possono definire “entusiasti” (31,7%) e “fiduciosi” (34,5%). Gli “sfiduciati” raccolgono il 14,9% del campione e i “disinteressati” non vanno oltre il 19,9%.

La prima tipologia, fortemente orientata ai processi di innovazione, presenta una significativa sovrarappresentazione tra i dirigenti dei comuni inquadrati nel ruolo di comunicatori. I “fiduciosi” presentano tratti analoghi ma meno caratterizzati ed hanno un profilo meno orientato al protagonismo individuale. Nella terza categoria si collocano funzionari più anziani legati a modalità di intervento più tradizionali. I “disinteressati” sono essenzialmente dirigenti ministeriali che, pur chiamati a partecipare a progetti innovativi non presentano alcuna delle caratteristiche di vitalità riscontrate negli enti locali e sono inoltre culturalmente distanti dalle logiche cooperative che spesso sostengono ed incoraggiano gli innovatori nella loro azione.

Analizzando in dettaglio le opinioni espresse dagli intervistati a proposito delle iniziative a sostegno dell’innovazione, emerge con chiarezza un atteggiamento volto a considerare le norme ed i regolamenti come i fattori di più scarso valore nel sostenere il cambiamento. È pur vero che negli ultimi anni numerosi sono stati i testi di legge che si sono occupati del riordino della pubblica amministrazione: dalle leggi Bassanini del 1997 fino alla (tanto attesa) legge sulla comunicazione pubblica del 2000, le istituzioni centrali hanno a più riprese lavorato per facilitare, semplificare, sveltire le procedure e la gestione della documentazione amministrativa. Questo dato va però messo in relazione con la complementare richiesta di strumenti agili con cui operare: inserito in questo contesto il dato assume una connotazione ben diversa. Gli innovatori sentono il bisogno della “leggerezza”, della possibilità di lavorare facilmente, senza dover sottostare a nuove norme a volte restrittive, che possono frenare lo sviluppo di soluzioni innovative.

Sottolineano dunque con frequenza l’esigenza di finanziare il cambiamento, di sviluppare accordi con il mondo della consulenza scientifica e professionale, e di attivare programmi di comunicazione in riferimento alle innovazioni sviluppate e introdotte (tav. 1 e tab.1).

Le ulteriori istanze che emergono con forza dall’indagine sono legate ad una volontà di non disperdere le energie ed il lavoro svolto: si dovrebbe cioè evitare che le esperienze intraprese rimangano dei fatti slegati uno dall’altro, e dar loro un senso all’interno di un progetto unico di innovazione. Gli innovatori vogliono costituire un gruppo ben individuabile di persone all’interno di un programma in cui avere un ruolo definito ed in cui lo scambio delle informazioni sia utilizzato all’ordine del giorno come metodo di lavoro.

 

TAV. 1 – IL PROFILO DEGLI INNOVATORI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Il profilo culturale TITOLO DI STUDIO: Licenza Media 1,2%; Diploma Scuola Secondaria Superiore 30,0%; Diploma Universitario 0,4%; Laurea 54,7%; Master o specializzazione post laurea 13,7%.
Il profilo attitudinale GLI ENTUSIASTI Convinti sostenitori dei processi di innovazione; dirigenti nei comuni; comunicatori; forte presenza al Sud (31,7%);
  I FIDUCIOSI Posizioni intermedie, tendenti al positivo; assenza di elementi caratterizzanti, equidistribuzione per tutte le variabili (34,5%)
  GLI SFIDUCIATI Ultracinquantenni laureati; dirigenti della “vecchia guardia” legati a modalità tradizionali di intendere l’amministrazione (14,9%)
  I DISINTERESSATI Due anime: dirigenti ministeriali, spinta accentratrice, non partecipi della vitalità degli enti locali; dirigenti meridionali, lontani da logiche di cooperazione per il miglioramento (19,9%)
L’uso personale delle nuove tecnologie UTILIZZO DELLE RETI TELEMATICHE: – a casa 1,9%; al lavoro 30,7%; a casa e al lavoro 57,0%; non utilizza 10,4%
L’atteggiamento in merito all’efficacia delle politiche e degli strumenti a sostegno dell’innovazione CONSIDERA MOLTO EFFICACE: – Il 28% l’emanazione di regole e norme a protezione e stimolo dell’innovazione (ad es. anche attraverso la rimozione di vincoli giuridici); – Il 56,9% il potenziamento dell’offerta formativa su temi legati all’innovazione; – Il 54,4% l’attivazione e la gestione di comunità di pratica (gruppi di persone accomunate dall’interesse su temi specifici di innovazione e finalizzati allo scambio di competenze e conoscenze)

 

Fonte: elaborazione Censis – Dipartimento Funzione Pubblica, 2001

 

TAB. 1- EFFICACIA DELLE ATTIVITÀ ISTITUZIONALI PER LO SVILUPPO DELL’INNOVAZIONE (VAL.%)

  Molto efficace Abbastanza efficace Poco/per niente efficace Totale
Emanazione di regole e norme a protezione e stimolo dell’innovazione (ad es. anche attraverso la rimozione di vincoli giuridici ) 28,8 43,8 27,4 100,0
Concessione di finanziamenti specifici 55,1 34,8 10,1 100,0
Stipula di accordi ad hoc con università, enti di ricerca, organizzazioni internazionali o tra amministrazioni 43,1 41,7 15,2 100,0
Azioni di comunicazione e promozione delle attività di innovazione 39,8 47,5 12,7 100,0
Consulenza e assistenza tecnica alle amministrazioni 43,4 41,0 15,6 100,0

 

Fonte: elaborazione Censis – Dipartimento Funzione Pubblica, 2001

Se quindi tutte le proposte sono recepite come sostanzialmente positive, la costituzione di gruppi di lavoro, di comunità di pratica e di una banca dati di informazioni pregresse a cui poter accedere liberamente sono le richieste che spiccano. L’organizzazione che il gruppo di innovatori sembra richiedere esce del tutto da schemi di tipo verticistico, unilaterale, spostandosi decisamente verso un modello di rete orizzontale, in cui tutti occupano la stessa posizione, con eguali possibilità di accedere a servizi ed informazioni. Il modello che viene richiesto è esattamente quello delle comunità di pratica, che si vanno sviluppando con sempre maggior frequenza su internet. Sono gruppi di persone accomunate da uno stesso interesse, disciplina o dalla stessa attività lavorativa, che trovano nello strumento della community un valido aiuto per la propria crescita personale e professionale (tab. 2).

 

TAB. 2 – EFFICACIA DEGLI STRUMENTI DI CRESCITA PER LE RISORSE UMANE (VAL. %)

  Molto efficace Abbastanza efficace Poco /per niente efficace Totale
Potenziamento offerta di Informazione (manuali, newsletter, riviste, materiale informativo su contenuti innovativi) 29,1 40,9 30,0 100,0
Potenziamento offerta formativa su temi legati all’innovazione 56,9 37,0 6,1 100,0
Attivazione e gestione di comunità di pratica (gruppi di persone accomunate dall’interesse su temi specifici di innovazione e finalizzati allo scambio di competenze e conoscenze) 54,4 35,9 9,7 100,0
Attivazione di scambio temporaneo di personale con altre amministrazioni per apprendere nuove soluzioni funzionali-organizzative e ampliare le proprie competenze 42,5 34,4 23,1 100,0

 

Fonte: elaborazione Censis – Dipartimento Funzione Pubblica, 2001

Nell’ambito delle risorse umane, i dati sono molto significativi: non è più sufficiente la sola informazione, che per propria natura, essendo “dispensata” da una fonte terza, esterna, non crea partecipazione, né discussione sui contenuti. Bisogna puntare al potenziamento delle occasioni formative, e alla dotazione di strumenti innovativi come le community, in grado di mettere in comunicazione le persone, creando in questo modo un circolo virtuoso che si alimenta attraverso lo scambio di esperienze e di competenze. Non è un caso che le istanze più innovative nell’ambito delle risorse umane, ed in modo particolare la richiesta di maggiore formazione, muovano dalla fascia più giovane degli intervistati: queste persone probabi lmente vivono da vicino la necessità di essere al passo con i tempi e di tenersi aggiornati, consapevoli della velocità con cui le nuove tecnologie evolvono modificando anche i metodi e le tecniche lavorative.

Testo tratto dal 36° Rapporto sulla situazione sociale del paese della Fondazione Censis

 

 

15 Marzo 2003

 

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New Economy

 

Il reset della new economy

 

Negli ultimi dodici mesi sono stati definitivamente messi in discussione quei feticci tecnologici a cui erano state attribuite proprietà salvifiche e che avrebbero dovuto fare da volano per l’intera economia.

 

di Gianni Dominici

 

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La crisi della New Economy ha definitivamente varcato i confini dell’arena finanziaria per investire la produzione e il mercato più ampio dei consumi. Del crollo della borsa ai livelli mondiale, europeo e italiano le società tecnologiche sono state le protagoniste se non, molto probabilmente, la causa stessa. Il Nuovo Mercato italiano sicuramente non è stato più fortunato del corrispettivo tedesco e la cronaca degli ultimi mesi non fa che confermare in maniera irrevocabile la profonda crisi dei titoli delle società tecnologiche.

Ma la crisi, appunto, non è solo finanziaria. I dati relativi agli andamenti in Italia del mercato dell’informazione e della comunicazione relativi al primo semestre del 2002 denunciano le difficoltà anche della dimensione reale del settore. Complessivamente, il comparto ha registrato una flessione pari all’1,2% rispetto al semestre dell’anno precedente. Solo lo scorso anno, invece, sia il settore delle telecomunicazioni sia quello tecnologico più in generale registravano ancora un incremento medio di oltre il 12%. Inoltre, le difficoltà investono il settore tecnologico in tutte le sue dimensioni: il mercato business come quello consumer, i personal computer come i mainframe, il consumo come gli investimenti in infrastrutture. Infatti, i dati semestrali sono esplicativi: la vendita dei personal computer nel primo semestre del 2002 è scesa dell’1,8% rispetto allo stesso periodo di riferimento dell’anno precedente, la vendita dei server è scesa di quasi il15% mentre il mercato delle workstation è crollato del 30%. Anche il promettente settore delle telecomunicazioni risente fortemente dell’attuale congiuntura che investe non solo il mercato dei terminali mobili ma anche, e soprattutto, quello delle infrastrutture: nel confronto tra i primi semestri degli anni 2001 e 2000 l’incremento percentuale era pari a +39,5%, il confronto, invece, tra il primo semestre del 2002 con quello dell’anno precedente evidenzia un crollo di oltre il 10% .

Come è arrivata la crisi, inizialmente solo finanziaria, ad intaccare il mercato dei consumi e degli investimenti? Negli ultimi dodici mesi sono stati definitivamente messi in discussione quei feticci tecnologici a cui erano state attribuite proprietà salvifiche e che avrebbero dovuto fare da volano per l’intera economia. Le attese, in pratica, si stanno dimostrando sproporzionate in confronto alle reali potenzialità che il settore delle tecnologie innovative potrà esprimere.

Il sovradimensionamento del fenomeno scaturisce da tre ipotesi e valutazioni genericamente assunte come vere e che invece, nel corso degli ultimi mesi, si sono poi dimostrate errate o comunque imprecise. La prima valutazione, che ha condizionato gran parte degli operatori economici italiani, soprattutto di medie e di grandi dimensioni, e che si è consolidata molto velocemente, è relativa alla presenza stessa su Internet. Con una velocità incredibile si è diffusa alla fine degli anni 90 la convinzione che nel business di Internet bisognasse esserci, comunque e a tutti i costi. Chi non investiva su Internet era fuori, era old e chi non era presente sulla rete non esisteva, al di là dei piani industriali e degli obiettivi statutari. Tra le tante esperienze, poi ridimensionate, basti pensare a quella di Mediaset con il portale Jumpy e, soprattutto, a quella della Fiat e della Efil con il portale CiaoWeb che vide la luce nel dicembre del 1999. Esperienza fallimentare di un portale generalista che avrebbe dovuto, secondo i vertici di allora, creare valore entrando in un settore ad elevati tassi di crescita. In verità, così come tante altre esperienze scaturite “dal dover esserci”, CiaoWeb si rivela per il Gruppo Fiat una inutile e dannosa esperienza tanto che dopo pochi mesi dalla sua nascita il portale viene ceduto alla Hachette-Rusconi.

Il secondo assunto si riferisce alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. La progressiva riduzione dei costi dal lato client (computer, connessione ad Internet, telefoni cellulari), così come l’esiguità degli investimenti iniziali richiesti per avviare iniziative (siti web, reti aziendali), hanno fatto credere che la diffusione delle nuove tecnologie fosse un occasione per tutti, anzi, che potesse essere un’occasione di riscatto per quei territori e quelle categorie sociali svantaggiati dall’economia prevalentemente industriale. Le reti annullano le distanze è stato lo slogan che per molto tempo ha guidato la diffusione delle Ict. In verità, anche questo assioma si è rivelato, con il tempo, sbagliato. Le categorie sociali più svantaggiate (per titolo di studio o condizione professionale), ad esempio, non accedono ad Internet perché non lo conoscono e non sono interessati ai contenuti che offre. Anche sul versante dell’offerta di servizi e di infrastrutture si è cominciata a riscontrare una progressiva discriminazione delle aree tradizionalmente svantaggiate. Fatti 100 i chilometri di fibra ottica posati in Italia solo l’11,5% sono localizzati al Sud contro l’oltre 30% del Nord Ovest e il 27% del Nord Est. L’analisi annuale della Rur sui siti della Pubblica Amministrazione mostra un progressivo ritardo nella qualità dei siti offerti dalle pubbliche amministrazioni locali del Sud. Anche in ambito politico oramai si è acquisita la consapevolezza che il tema del Digital Divide, cioè del rischio di esclusione sociale generato dalla diffusione delle nuove tecnologie, sia un rischio ed un problema concreto da scongiurare.

La terza tesi, infine, è stata quella la cui diffusione più di tutti ha determinato la definizione e la costituzione degli attuali feticci. Si è creduto, e per molti versi si crede ancora, che l’offerta di infrastrutture avanzate sia in grado automaticamente di generare un’offerta di servizi e di prodotti che a sua volta favorirà lo sviluppo di una domanda, da parte delle aziende e delle famiglie, di beni e servizi avanzati. E’ questo l’assunto alla base degli ingenti investimenti relativi sia ai cosiddetti telefoni di terza generazione sia alla larga banda.

La storia dell’Umts è in gran parte nota. L’asta per l’aggiudicazione delle licenze Umts si è conclusa con l’esborso da parte dello società aggiudicatarie (Tim, Omnitel, Wind, Ipse e Andala) di poco meno di 14 miliardi di euro. A questa cifra è necessario aggiungere quella relativa agli investimenti infrastrutturali stimata intorno ai 24 miliardi di euro. L’ipotesi di fondo era che l’investimento avrebbe generato automaticamente valore aggiunto sia per le società coinvolte che per il sistema economico in generale. Per ogni licenza attribuita, ad esempio, erano stati previsti 150 mila posti di lavoro per un totale, dunque, pari a 750 mila.

Il 2002 doveva essere l’anno del lancio definitivo del sistema e dei primi servizi. In verità, gli eventi degli ultimi mesi hanno dimostrato che i processi avviati non sono così lineari. Le società aggiudicatarie delle licenze sono tutte in grandi difficoltà, l’avvio dei nuovi servizi sta subendo gravi ritardi e, in alcuni casi, si parla addirittura di rinuncia. Ancora non è chiaro quali servizi verranno lanciati e quali saranno i prodotti a disposizione delle famiglie e delle imprese e perché dovrebbero giustificare l’acquisto di un nuovo terminale da parte dei potenziali utenti. Alcune delle possibilità offerte dall’Umts sono in realtà già possibili con gran parte dei telefoni attualmente in circolazione, in particolare la modalità Gprs permette l’utilizzo del telefono per collegamenti ad Internet a velocità di tutto rispetto, ma la gran parte degli utenti preferisce limitarsi ad usare il telefono in modalità voce o per scambiarsi brevi messaggi di testo.

Analoghe considerazioni valgono per la larga banda intesa quale infrastruttura di nuova generazione basata sulle fibre ad alta capacità rispetto alla quale grandi aspettative sono state riposte in passato (basti pensare al piano Socrates messo a punto dall’allora monopolista Telecom) e dagli attuali operatori nazionali impegnati nella gara per cablare più chilometri possibili di strade urbane.

Eppure, a ben vedere, anche l’icona tecnologica della banda larga comincia a incrinarsi. Dal punto di vista tecnologico l’Adsl e l’Xdsl (cioè l’utilizzo digitale delle normali linee telefoniche) permettono soluzioni e velocità in grado di accontentare l’attuale domanda; i canali satellitari abbinati a nuovi prodotti tecnologici dal lato consumer permetteranno presto la Tv on demand, senza il bisogno di larga banda (ad esempio il Personal Video Recorder che Sky Italia molto probabilmente importerà in Italia dal Regno Unito). Di nuovo, così come per l’Umts, è difficile prevedere che la semplice opportunità tecnologica automaticamente faccia nascere servizi e domanda tali da giustificare gli ingenti investimenti. Probabilmente anche gli operatori si stanno in parte ricredendo: dei cinque milioni di chilometri di fibra ottica posata in Italia (di cui gran parte nelle città del Nord) solo 245.000 chilometri sono accessi, cioè realmente disponibili, ossia appena il 4,9%.

A fronte delle difficoltà dell’intero settore, sia a livello nazionale che internazionale, nel corso del 2002 sono emerse alcune tendenze di sicuro segno positivo:

  • ad ottobre, finalmente, il governo ha dato un segnale d’apertura nei confronti del possibile utilizzo pubblico dei sistemi Wi-Fi, sistemi di trasmissione via radio, nati inizialmente per permettere la realizzazione di reti aziendali senza fili, e che, invece, si stanno dimostrando utili per creare servizi a banda larga anche alle imprese e ai cittadini. In alcune città medie europee le reti wireless sono una valida ed economica alternativa alle fibre ottiche tanto da preoccupare gli operatori impegnati a creare le infrastrutture tradizionali. In Italia, per ora, con atteggiamento eccessivamente difensivo si sta tentando di arginare il fenomeno non regolamentandone l’utilizzo per fini pubblici;
  • le pubbliche amministrazioni locali confermano la loro vitalità nel promuovere iniziative innovative di governo locale tramite il ricorso alle nuove tecnologie. Nonostante il tentativo di razionalizzazione del piano nazionale per l’e-government, la telematica pubblica, infatti, trova ancora la sua migliore declinazione al livello dal quale sono nate sperimentazioni ed iniziative. E’ così che in città quali Torino, Bologna e Parma o in regioni quali la Liguria e l’Emilia Romagna (solo per citarne alcune) è possibile toccare con mano soluzioni tecnologiche ed organizzative che a livello nazionale sono solo annunciate;
  • a fronte del generale ritardo del sistema economico nel suo complesso nell’adottare strumenti e soluzioni innovative, in alcune realtà distrettuali si colgono i segnali di un nuovo dinamismo. Le difficoltà e le diffidenze molto diffuse tra i piccoli e medi imprenditori nei confronti di una tecnologia, che spesso per sua natura è instabile, possono trovare un sostegno nel ricorso ad iniziative sistemiche nella dimensione locale. Anche in questo, solo per fare degli esempi, è utile citare l’esperienza di Dixet di Genova, un’associazione cui partecipano oltre 100 imprese del Distretto di Elettronica e Tecnologie Avanzate di Genova, o anche il portale degli ottici di Belluno, tramite il quale è stato implementata una piattaforma telematica di e-procurment per gestire ed evadere gli ordini.

Il fermento riscontrabile dimostra che lo sgonfiamento della bolla finanziaria e le incrinature delle icone tecnologiche non hanno però lasciato né un vuoto di esperienze né solo le ceneri degli insuccessi. Al contrario, il ridimensionamento dell’intero fenomeno ha ridato visibilità a quelle tecnologie e a quelle iniziative più conviviali lontane dalle speculazioni finanziarie e dagli eccessi del mercato. L’innovazione, quella più credibile, torna ad avere come terreno fertile, piuttosto che l’arena finanziaria, quel contesto fatto di sperimentazione e di concertazione attivo soprattutto a livello locale.

Testo tratto dal 36° Rapporto sulla situazione sociale del paese della Fondazione Censis

 

 

15 Marzo 2003

 

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rvizi on line

 

I servizi on line, occasione di incontro tra pubblico e privato

 

Su Internet nascono collaborazioni tra privati e la PA per l’erogazione di servizi on line. Ma le public utilities ancora sottovalutano le opportunità dell’ICT.

 

di Elga Apostoli

 

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Già lo scorso anno l’indagine Rur-Censis “Città digitali” aveva rilevato, studiando la presenza dei servizi on line sui siti della pubblica amministrazione locale, il raggiungimento di un elevato livello di completezza informativa, mentre appariva decisamente carente la dimensione transazionale. Tale tendenza viene confermata anche dai dati più recenti: un’indagine realizzata dalla Rur, in concomitanza con la scadenza del pagamento dell’Imposto Comunale sugli Immobili, per verificare quanto le Pubbliche Amministrazioni locali utilizzino il proprio sito Internet per informare i cittadini sulle scadenze relative all’Ici ed eventualmente consentire loro di pagare la rata direttamente on line, conferma nella sostanza un fenomeno dalla lenta evoluzione: solo 11 comuni sui 103 analizzati consentono di pagare l’imposta on line, mentre la maggior parte degli enti si limita a fornire informazioni, o a prevedere livelli minimi di interazione (tab.1).

 

TAB. 1 – LIVELLO DI INTERATTIVITÀ PER IL PAGAMENTO DELL’ICI (V.A. E VAL.%)

  v.a. val.%
Assenza di informazioni sulla scadenza ICI 21 20,4
Presenza di informazioni 30 29,2
Interazione one way (ad es. download modulistica ) 20 19,4
Interazione two way (ad es. calcolo on line ) 21 20,4
Pagamento on line su sito esterno 7 6,8
Pagamento on line sullo stesso sito comunale 4 3,8
Totale 103 100,0

 

Fonte: Indagine Rur, Censis 2002

La capacità di accrescere l’offerta di servizi innovativi nel prossimo futuro dovrà essere uno degli obiettivi prioritari delle amministrazioni attive nello sviluppo dell’ e-government. Anche il Ministero per l’Innovazione ha focalizzato la sua attenzione su questo punto: nella stesura delle “Linee guida per la Società per l’informazione” e dell’ “Allegato 1” al bando nazionale per il piano e-government, i servizi rivestono un ruolo di primaria importanza. Anche in fase di assegnazione dei fondi, il Ministero ha premiato la scelta di implementare servizi innovativi: 98 progetti dei 138 ammessi a finanziamento riguardano l’erogazione e la gestione di servizi ai cittadini e alle imprese di cui 44 la realizzazione di portali di servizi.

La realizzazione e la gestione di portali di questo genere pone non pochi problemi alla maggior parte delle amministrazioni pubbliche: implementare servizi di questo tipo comporta una visione strategica dello sviluppo delle amministrazioni da parte dei decisori, un cambiamento organizzativo all’ interno delle amministrazioni stesse e soprattutto un cospicuo impegno economico. Se per i primi due fattori si è registrato un progresso importante negli ultimi anni, l’aspetto economico costituisce ancora un fattore di grande problematicità. Quello dei pochi fondi a disposizione è senz’altro uno dei motivi della scarsa evoluzione, in termini quantitativi e qualitativi, dei servizi on line. I fondi stanziati per lo sviluppo dell’ e-government, e assegnati attraverso il bando nazionale hanno costituito una grande occasione per le amministrazioni, ma sembra che nei prossimi anni dovranno diminuire gli investimenti sostenuti dal finanziamento del governo: questo bando sfruttava i proventi dell’asta per le licenze Umts, ma gli investimenti previsti per il 2003 non hanno trovato copertura nella manovra finanziaria presentata dal Governo.

Il problema della copertura finanziaria dei progetti per l’implementazione di servizi on line ha riguardato con meno forza i comuni che da tempo riservano interesse e fondi all’implementazione di strumenti tecnologici di comunicazione con il cittadino. Queste amministrazioni sono state in grado di proporsi con dei progetti molto validi, e hanno riprogettato i loro siti istituzionali includendo specifiche sezioni dedicate ai servizi: Torino, con Torino Facile, il comune di Parma con il suo sito istituzionale e la provincia con il Portale Parma.

Per quanto riguarda la realizzazione di veri e propri portali di servizi, autonomi rispetto al sito istituzionale del comune, sono stati finora realizzati tre progetti: Venezia, Genova e Cremona. Per la realizzazione e la gestione del proprio sito, Genova e Cremona hanno deciso di creare delle società miste pubblico-privato, mentre Venezia ha realizzato un sito totalmente pubblico, che beneficerà nei prossimi mesi dei fondi del piano nazionale sull’e-government. La scelta di creare partnership con i privati compiuta da Genova e Cremona permette di limitare gli oneri per le amministrazioni dando contemporaneamente vita ad una cooperazione non solo tra ente istituzionale ed aziende di servizi, ma anche con le diverse realtà imprenditoriali ed associative presenti sul territorio (tav. 1).

Il Comune di Venezia, in attuazione del piano d’azione per l’e-government, ha realizzato un portale la cui finalità è “consentire a cittadini, professionisti e imprese un accesso più facile ai servizi comunali, mediante l’utilizzo di internet”. Il portale veneziano, che non prevede per il momento la partecipazione di soggetti privati, consente al cittadino di pagare imposte e contravvenzioni di competenza comunale: Ici, Cosap, o contravvenzioni. L’impostazione del portale segue quella data dall’Allegato 1 del bando per l’e-government: la suddivisione del pubblico di riferimento (cittadini, professionisti, imprese), e la ripartizione dei servizi per eventi della vita. Il progetto, di recentissima realizzazione, vedrà in futuro l’attivazione di ulteriori servizi, intendendo proporsi come canale preferenziale nei rapporti con i diversi soggetti che a vario titolo interagiscono con il comune.

 

 

TAV. 1 – I PORTALI DI SERVIZIO

  egov.comune. venezia.it Tu6genova E-Cremona
Soggetto promotore Comune di Venezia Comune di Genova, Amga, Aster Comune di Cremona, Aem Cremona e Cassa Padana
Creazione società ad hoc No Sastercom Spa Netpeople
Tipologia di portale Portale di servizio Portale di servizio Portale per l’e-government
Servizi offerti Pagamento imposte comunali Accesso ai servizi del comune e delle aziende che prendono parte al progetto Accesso a tutti i servizi divisi per eventi di vita (per cittadini ed imprese)
Modalità di erogazione dei servizi Direttamente dal sito Direttamente dal sito Link esterni ai siti di competenza

 

Fonte: elaborazione Censis, 2002

Sia Genova che Cremona, nell’implementare il proprio portale, hanno invece coinvolto soggetti di vario tipo, legati anche alle tipologie di servizio e alle finalità del sito. Tu6genova e E-cremona, infatti, pur proponendosi come portali di servizio, hanno struttura e finalità diverse. Il primo nasce dalla collaborazione tra il comune di Genova e due aziende municipalizzate: questi tre soggetti hanno costituito una società apposita (Sastercom SpA) per la realizzazione e la gestione del portale. Il sito si presenta come un unico punto di accesso ai vari servizi erogati dal comune, dalle municipalizzate, e da altri enti pubblici e privati, che stanno avviando percorsi di analisi dei propri servizi per poterli integrare nel portale. I soggetti coinvolti sono soprattutto aziende municipalizzate, o società che a vario titolo gestiscono i servizi pubblici: dal sito è p ossibile pertanto pagare le bollette del gas, pagare le imposte comunali o consultare le pratiche che riguardano l’edilizia privata. I servizi sono effettivamente erogati all’interno del sito: non ci sono link esterni ai siti delle aziende che prendono parte al progetto. Inoltre il portale, fatta eccezione che per un breve spazio informativo, eroga soltanto servizi: in questo senso si può dire che Tu6genova è un portale di servizi “puro”, una sorta di sportello unico on line per i servizi al cittadino. La forza di questo progetto è nella collaborazione pubblico/privato: l’amministrazione comunale è stata in grado di promuovere un progetto in cui le due componenti trovano un obiettivo comune. Facilitare l’accesso ai servizi è infatti un compito che gli enti pubblici devono perseguire, ma anche un vantaggio per le aziende che riescono in questo modo a rendere la vita più facile ai propri utenti. Non solo: anche l’investimento in termini economici è minore per le aziende, che non devono implementare propri sistemi di sicurezza per l’ erogazione di servizi on line, usufruendo di quelli comuni del portale. Anche E-Cremona nasce su iniziativa del Comune, che ha costituito una società di scopo con soggetti terzi (l’azienda municipalizzata e la Cassa Padana) per l’implementazione il progetto. Il portale cremonese, però, si differenzia dagli altri in quanto il suo unico obiettivo non è l’erogazione di servizi: il sito è fortemente orientato ai servizi, ma non fa di questo il suo unico punto di forza. E-Cremona prosegue sull’esperienza della rete civica, confermando la grande capacità di “fare rete” dei soggetti presenti sul territorio: prendono parte al progetto numerosi enti, soprattutto pubblici (dalla Provincia alla Camera di Commercio, dall’Azienda Istituti Ospitalieri, alla Biblioteca Statale), con l’obiettivo dichiarato di “di dar vita ad un portale pubblico capace di favorire l’incontro e lo scambio di relazioni e servizi tra la pubblica amministrazione ed i cittadini singoli o associati”. Il sito si propone in questo modo come un vero e proprio portale per l’ e-government, fornendo strumenti di interazione per i cittadini, servizi per le imprese, e anche corsi di formazione volti combattere il digital divide.

Sulla scia di questi primi “pionieri”, il fenomeno che potrebbe svilupparsi, anche a fronte della probabile diminuzione dei fondi messi a disposizione dal governo per i prossimi anni, potrebbe essere una maggiore collaborazione tra pubblico e privato nella realizzazione di portali comuni. Gli effetti positivi di questo modo di operare si potranno ripercuotere su tutti i soggetti: i realizzatori del portale potranno ridurre i costi iniziali offrendo un accesso comune a più servizi; i cittadini avranno un unico punto di riferimento per espletare le numerose incombenze che li riguardano da vicino.

I soggetti che si pongono come i più probabili partner in futuri accordi con le pubbliche amministrazioni sono senz’altro le aziende municipalizzate. Questo tipo di aziende sono le più “vicine” ai comuni, di cui gestiscono la gran parte di servizi di primaria importanza, come acqua, gas, energia. La peculiarità dei servizi erogati, e il “mandato” pubblico della loro offerta le rendono partner ideali in questo tipo di accordi, volti alla creazione di portali di servizi erogabili in rete.

È interessante, pertanto, analizzare il rapporto delle utilities con la tecnologia. Sotto questo punto di vista, una recente indagine commissionata da Assintel sull’economia digitale nelle public utilities disegna i tratti di un mercato ancora non sviluppato per quanto riguarda l’utilizzo di soluzioni innovative nelle aziende. Il 60% delle aziende intervistate dichiara di non utilizzare soluzioni Erp (Enterprise Resources Planning); il 79,4% non si avvale di strumenti di Crm (Customer Relarionship Management) e il 92,6% non impiega alcuno strumento di e-procurement; solo per i sistemi di Billing, ovvero di gestione delle bollette, i valori registrati sono di poco inferiori al 50% (tab. 2). Da questi dati emerge con chiarezza una scarsa propensione delle imprese di pubblica utilità ad impiegare strumenti che potrebbero rivelarsi di grande efficacia nella riorganizzazione delle strutture.

 

TAB. 2 – UTILIZZO DI SOLUZIONI INNOVATIVE PER L’AZIENDA (VAL.%)

  Erp Billing Crm E-procurement
Utilizzato 34,9 45,7 14,2 4,6
Previsto 4,6 7,5 5,5 2,3
Non utilizzato 60,0 46,2 79,4 92,6
Non risponde 0,5 0,6 0,9 0,5
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

 

Fonte: elaborazione Censis su dati Assintel, 2002

Le motivazioni addotte allo scarso utilizzo di soluzioni innovative dimostrano che ciò che manca in queste aziende è la corretta percezione degli strumenti e del loro potenziale, e di quanto possano essere utili in relazione ad alcuni obiettivi fondamentali, come quello del raggiungimento di una maggiore efficienza interna. Infatti, il fattore maggiormente menzionato a sostegno della scelta di non utilizzare soluzioni innovative, è la mancanza di esigenze specifiche, in assenza delle quali l’investimento non è conveniente. Sembra sfuggire totalmente il fatto che strumenti come l’Erp vanno utilizzati nell’ottica di una revisione generale dei processi di lavoro, più che per rispondere a problemi particolari. Lo stesso vale per i sistemi di billing: il 68,8% delle aziende non lo utilizza per mancanza di esigenze specifiche. Il dato appare quanto meno strano, se si pensa che i sistemi di billing assolvono ad una necessità propria della imprese in questo ambito (tab. 3).

 

TAB. 3 – MOTIVAZIONI DELL’ASSENZA DI SOLUZIONI INNOVATIVE (VAL.%)*

  Erp Billing Crm E-procurement
Mancanza di esigenze specifiche 46,6 68,8 65,9 64,4
Numero utenti non giustifica investimento 22,1 20,0 15,0 12,9
Mancanza informazioni 18,3 7,5 17,3 13,9
Soddisfazione metodi utilizzati attualmente 15,3 2,5 2,9 11,4
Mancanza competenze interne 19,8 6,3 16,8 9,9
Costi elevati 13,0 5,0 2,3 5,4
Nessuno in particolare 2,3 1,3 4,6 5,4
Altro 5,4 11,3 4,7 8,0

 

* La somma dei valori non è uguale a 100 perché era data la possibilità di fornire più di una risposta
Fonte: elaborazione Censis su dati Assintel, 2002

Se il potenziale innovativo di strumenti per la riorganizzazione interna alle aziende non è afferrato appieno, anche la comprensione dell’utilità di Internet è ancora a livelli minimi. La rete costituisce per lo più una vetrina per queste imprese, mostrando una concezione dello strumento ancora fortemente arretrata. Sono solo il 58,7% le aziende che hanno un proprio sito Web, e meno del 20% intende implementarlo a breve. Ben un quinto delle public utilities, quindi, non solo non ha un sito, ma non intende neanche investire per realizzarlo nel breve termine. Il sito non viene realizzato perché inutile ai fini dell’attività svolta (36,4%), perché non sono disponibili i servizi da rendere disponibili sul web (36,4%) per una questione di costi (25%), o per mancanza di competenze interne (tav .2).

 

TAV. 2 – I SI E I NO DELLA REALIZZAZIONE DEL SITO

Principali motivazioni alla realizzazione del sito val. % Principali motivazioni all’assenza del sito val. %
Servire meglio la clientela 57,9 Inutilità per l’attività svolta 36,4
Farsi conoscere 46,8 Mancanza servizi per Web 36,4
Esaudire le richieste della clientela 35,7 Costi troppo elevati 25,0
Pubblicizzare l’offerta 28,7 Mancanza skill interne 13,6

 

Fonte: elaborazione Censis su dati Assintel, 2002

Quanti hanno implementato un sito dichiarano di averlo fatto per servire meglio la clientela (57,9%), per farsi conoscere (46,8%), per esaudire le richieste della clientela o per pubblicizzare la propria offerta. Queste motivazioni, pur evidenziando una concezione del sito come strumento di informazione sull’azienda e i propri prodotti, mostra un’attenzione ai bisogni della clientela nuova per queste aziende. I motivi che accompagnano la mancata realizzazione del sito ricalcano nella sostanza quelli relativi agli strumenti innovativi: pertanto il sito è inutile (36,4%) o dai costi troppo elevati (36,4%). La mancanza di servizi sul web, addotta come ragione dell’assenza sulla rete dal 36,4% degli operatori, è una diretta conseguenza della mancata implementazione di tutti quegli strumenti innovativi che, contribuendo a riorganizzare le strutture, potrebbero preparare un adeguato back office ai servizi on line. I dati sull’utilizzo delle nuove tecnologie da parte delle imprese che erogano servizi pubblici mostra quindi una realtà che deve evolvere ancora molto. Bisogna specificare che molta parte delle aziende del settore è costituito da imprese di ampiezza modesta (circa l’80% ha meno di 200 dipendenti), e che la diffusione di alcuni strumenti è necessariamente legato alle dimensioni aziendali. È pur vero, però, che se queste imprese vorranno proporsi come partner di rilievo nella realizzazione di servizi innovativi, la strada da percorrere sembra ancora lunga. Le aziende municipalizzate dovranno compiere in un tempo relativamente breve quel percorso che ha interessato la pubblica amministrazione negli ultimi dieci anni, in cui la tecnologia è entrata a far parte della vita quotidiana degli enti.

Testo tratto dal 36° Rapporto sulla situazione sociale del paese della Fondazione Censis

 

 

15 Marzo 2003

 

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Sprint Macerata

 

Le nuove tecnologie di rete nelle PMI distrettuali della Provincia di Macerata

 

Il Progetto SPRINT Macerata: superare gli ostacoli che allontanano ancora le imprese dall’uso delle nuove tecnologie per avviare un processo di innovazione volto a potenziare il capitale umano e sociale.

 

di Valentina Piersanti

 

impreseICT.jpg

Le criticità maggiori che si riscontrano in una recente indagine del Censis che ha coinvolto circa 350 piccole e medie imprese della provincia di Macerata sono quelle legate alle risorse umane, alla cultura imprenditoriale, alla collaborazione tra imprese e, solo in ultimo, all’uso di nuove tecnologie per la comunicazione e l’informazione. Al di là dello scarso ricorso a soluzioni tecnologiche avanzate, elemento che contraddistingue molte realtà industriali italiane, il maggior rischio di marginalità per una parte consistente delle imprese del comparto manifatturiero del maceratese deriva dalla capacità di investire nei fattori strategici per l’innovazione.

Il capitale umano e quello sociale del sistema imprenditoriale, l’accesso all’informazione unite alla capacità di collaborazione e di coordinamento tra i diversi attori del sistema economico provinciale si presentano come discriminanti incisive all’interno della società dell’informazione.
Nei territori distrettuali l’innovazione, ma più in generale la forza competitiva, dipende fortemente dalla capacità di valorizzare le risorse umane e di ispessire le relazioni interne. Le tecnologie giocano in questo un ruolo importante, sono un supporto, un prodotto e a volte il movente per la creazione di collaborazioni interaziendali.
Sono un supporto perché, se applicate a reti collaborative, facilitano lo scambio e accelerano i processi di messa in comune delle risorse.
Sono un prodotto perché, a fronte di bassi investimenti in IT a livello di singole aziende, si sta assistendo nelle aree distrettuali al fiorire di iniziative ad alto contenuto tecnologico sulla spinta di strategie interaziendali complesse.
Ed infine sono un movente, come del resto anche le azioni di marketing, commercializzazione, formazione e ricerca, perché la nascita di strutture associative è spesso legata al bisogno di ridurre le voci di costo in queste aree.

Le tecnologie di rete, agendo sulla circolazione di informazione e sulla messa in comune di conoscenze, hanno la capacità di accrescere il patrimonio condiviso, ma vanno ad impattare sulle barriere di natura culturale che impediscono la cooperazione e la nascita di strategie di sviluppo complessive. Per molte piccole imprese gli ostacoli principali che si frappongono alle dinamiche d’innovazione sono:

  • la scarsità di risorse finanziarie da dedicare alle tecnologie e alla ricerca, soprattutto legata al bisogno per le piccole imprese di percepire un riscontro immediato agli investimenti;
  • il timore degli imprenditori di perdere autonomia e competitività dalla diffusione di strumenti di comunicazione e di condivisione di informazioni e di conoscenza;
  • la mancanza di competenze e di risorse umane adeguate.

In questo contesto l’impianto del lavoro di ricerca all’interno dei distretti del maceratese assume un valore diverso, le 353 aziende coinvolte nella ricerca del Censis non mostrano solo un ritardo in termini di dotazione tecnologica, ma fanno emergere uno scenario in cui prevalgono debolezze molteplici: una bassissima percentuale di laureati e diplomati tra gli addetti, una terziarizzazione solo apparente delle funzione aziendali, livelli di investimenti molto bassi in ICT, una scarsa attenzione per i settori strategici di sviluppo.

L’obiettivo generale nonché il presupposto del Progetto SPRINT Macerata di cui questa ricerca è parte è quello di rendere il sistema produttivo locale più competitivo attraverso la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione, potenziando le relazioni esistenti e sviluppandone di nuove, fino a dare vita ad un vero e proprio distretto produttivo digitale.
Il progetto nasce dalla collaborazione della Fondazione Censis con la Provincia di Macerata e, attraverso la partecipazione attiva dei soggetti intermedi, intende agire sulle dinamiche innovative distrettuali. L’innovazione all’interno dei distretti non può però essere identificata con la dotazione di nuove tecnologie a disposizione delle aziende ma deve essere piuttosto interpretata con un concetto più ampio che implica anche aspetti meno tangibili. La questione centrale non è quella di implementare l’uso di nuove tecnologie attraverso investimenti spot finalizzati ad incrementare la produttività del lavoro e la riduzione dei costi e per questa via aumentare la competitività aziendale.

La competitività di un sistema di imprese si basa, invece, sulla capacità di pianificare lo sviluppo, di garantire un flusso continuo di innovazione che deve nascere inevitabilmente dalle competenze dei lavoratori e degli imprenditori e dalle diverse conoscenze di cui ciascun soggetto, sia esso un’azienda, un’associazione, un ente economico o un’istituzione, è portatore.
In altre parole il processo di innovazione in un’area di Pmi coinvolge ed include cambiamenti nell’assetto organizzativo delle imprese e dell’intero territorio. Questo discende dalla natura complessa e interattiva del processo di innovazione che, così come risulta dalle recenti indagini Censis sull’argomento, è determinato in buona parte dall’interazione del network di imprese con il sistema sociale e con la rete istituzionale.
Non è sufficiente la spinta che viene dalle imprese leader del settore, ma è necessario un coinvolgimento più ampio dei soggetti che operano nel territorio. In questa prospettiva con l’indagine sulle piccole e medie imprese della provincia di Macerata, il progetto SPRINT ha inteso, innanzitutto, verificare le dinamiche relazionali nel sistema produttivo locale, la propensione all’uso di ICT e i fabbisogni formativi e informativi aziendali.

L’analisi dei risultati ha consentito così di ricostruire le caratteristiche del tessuto micro-imprenditoriale locale e di disporre di informazioni relative ai principali fabbisogni informativi e consulenziali nelle imprese manifatturiere del distretto maceratese. Una domanda prevalentemente concentrata sui servizi tradizionali di tipo amministrativo finanziario e giuridico a cui rispondono, sul lato dell’offerta, liberi professionisti e studi associati.
I risultati dell’indagine evidenziano dunque uno spazio d’azione per l’offerta di servizi innovativi da parte dei soggetti intermedi permettendo di identificare i bisogni delle aziende in termini di formazione-informazione-consulenza e di ipotizzare diverse modalità di erogazione basate sulle nuove tecnologie.
In primo luogo, la risposta ai fabbisogni di natura informativa attiva all’interno del territorio nuovi flussi comunicativi, questi creano o rafforzano a loro volta reti di collaborazione tra le imprese e tra queste e i soggetti che erogano notizie utili allo svolgimento delle attività aziendali.

Assume per tanto un’importanza strategica per i soggetti istituzionali il saper rispondere repentinamente alla domanda potenziale di servizi innovativi a cui una parte consistente delle imprese interpellate ha dato voce: un’azienda su tre mostra interesse per le soluzioni informatiche per la fidelizzazione della clientela ed una percentuale non marginale degli intervistati ritiene utili i servizi per la certificazione di qualità per le problematiche ambientali e per la selezione del personale.
Per ciò che riguarda nello specifico le tematiche di interesse per le imprese è possibile attraverso l’indagine evidenziare una serie di contenuti di cui queste necessitano:

  • Legislazione vigente sui mercati esteri di destinazione e nuovi mercati di destinazione;
  • Offerta di nuove competenze e profili professionali;
  • Modalità di accesso a finanziamenti pubblici;
  • Innovazione tecnologica;
  • Problemi ambientali;
  • Formazione professionale.

Vi è infine un insieme di informazioni e servizi relativi all’area della promozione, della commercializzazione e del marketing per cui il ruolo della rete istituzionale e dei soggetti economici non è quello di risposta ai bisogni, ma di stimolo per la nascita della domanda.
In linea con le considerazioni fatte sulla natura stessa dell’innovazione nei distretti la risposta alle esigenze espresse dalle imprese coinvolte nell’indagine dovrà venire non da un unico soggetto ma da un sistema di relazioni tra enti locali, camera di commercio, università, parti sociali, associazioni datoriali, organismi rappresentativi dei distretti locali, ed altri soggetti attivi sul piano delle promozione dello sviluppo locale e dell’offerta di servizi alle imprese. Solo in tal caso l’uso di piattaforme telematiche si mostra un efficace mezzo per facilitare i flussi informativi ed integrare le diverse risorse conoscitive e operative sul territorio provinciale per la promozione e la crescita del sistema di impresa locale. Sebbene siano infatti molte le difficoltà di fronte cui si trovano gli imprenditori nelle scelte relative alle tecnologie di rete e nonostante siano ancora poco sviluppate le capacità di utilizzo di queste, alla rete Internet è riconosciuta dalle aziende interpellate la capacità di veicolare ed offrire servizi. Gli imprenditori si mostrano cioè consapevoli delle opportunità legate alla telematica per la fruizione dei servizi. Ed è così che la messa a punto di una piattaforma tecnologica per l’interscambio di informazioni e per l’offerta di servizi on line nella provincia di Macerata per essere in grado di agire sulla competitività delle imprese e per attivare reali processi di innovazione nei territori distrettuali dovrà attivare processi più complessi quali:

  • la valorizzazione delle risorse umane;
  • l’incoraggiamento all’avvio di collaborazioni interaziendali;
  • lo stimolo all’apertura a reti di conoscenza esterne al territorio;
  • la diffusione di una cultura dell’apprendimento che sia interattivo e continuo.

 

 

15 Marzo 2003

 

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Indagine sui Distretti Digitali

 

Nuove dinamiche e attori emergenti nei distretti digitali

 

Secondo l’indagine Rur-Censis, Federcomin si diffondono le ICT tra le imprese, tra cautele e casi di eccellenza.

 

ICT.jpg

L’onda lunga delle dinamiche dell’innovazione, trainata dalle nuove tecnologie di rete, ha continuato anche nel 2002 a dispiegarsi producendo i suoi effetti all’interno dei distretti industriali italiani. Ad un anno e più dallo sgonfiamento della bolla della new economy il fenomeno della progressiva diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in ambiti imprenditoriali tradizionali caratterizzati da piccole e medie imprese a spiccata vocazione manifatturieria, non si è cioè arrestato.

L’indagine sulle economie locali di tipo distrettuale ha messo in luce, piuttosto, come il fenomeno attuale di diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei sistemi manifatturieri segua ritmi e modalità diverse rispetto al passato. Nell’ultimo anno sono mutate, infatti, le motivazioni che sottendono alle scelte di investire in Ict. Le imprese distrettuali sembrano oggi aver raggiunto una nuova consapevolezza riguardo alle possibilità che la diffusione delle nuove tecnologie può determinare in azienda o nel sistema territoriale più prossimo. Tutte le scelte di investimento, anche quelle finanziariamente meno impegnative, sono ponderate a lungo e vengono effettuate solo se esiste una strategia complessiva circa gli obiettivi da perseguire, meglio ancora se l’orizzonte di efficacia dell’investimento è di breve periodo. In ogni caso, qualunque scelta di innovazione è sottoposta ad una stringente valutazione circa la redditività effettiva dell’investimento.

Ciò sancisce la fine della fase euforica delle aspettative riposte nella tecnologia e il venir meno di uno dei paradigmi tipici degli ultimi anni secondo il quale l’innovazione tecnologica è in grado di alimentare da sola circuiti virtuosi di crescita della competitività. Le infrastrutture di rete nell’ambito delle Tlc non sembrano ancora riuscire, ad esempio, ad allacciare in modo completo ed efficace i nodi informativi presenti nei territori distrettuali e a fare da “software di connessione” delle diverse realtà soggettuali. I sistemi wireline a banda larga cominciano ad essere presenti dentro i distretti ma non riescono ad alimentare una domanda di nuovi servizi effettiva e soprattutto dimensionalmente in grado di sostenere gli ingenti costi di infrastrutturazione necessari per diffondere la fibra ottica. In questo quadro di sostanziale sottodotazione dei sistemi telematici evoluti in ambito locale vanno segnalate, tuttavia, alcune nuove dinamiche emergenti, per certi aspetti discontinue rispetto ad un modello di offerta e ad un sistema regolatorio pubblico di servizi telematici. Aziende innovative singolarmente o all’interno di iniziative territoriali distrettuali condivise, stanno sperimentando nuovi sistemi wireless a banda larga in grado di connettere via radio unità aziendali sparse con costi di infrastruttazione ridotti. Sembra quasi che le spinte tecnologiche e le logiche di innovazione anche rispetto ai sistemi di telecomunicazione e persino nei distretti più tradizionali, seguano più le scelte imposte dagli ”animal spirits” imprenditoriali che popolano i distretti industriali, che le dinamiche di un mercato dei servizi Tlc ormai troppo regolato e tecnologicamente forse troppo irrigidito.

Sono, infatti, proprio i soggetti imprenditoriali locali che hanno ormai assunto il ruolo di soggetti leader nell’innovazione locale. Le medie e, in qualche caso, le grandi aziende a capo delle dinamiche distrettuali, stanno alimentando anche un nuovo sistema relazionale fondato su legami supportati dalle nuove tecnologie informatiche e della comunicazione, nella consapevolezza che un uso condiviso delle stesse potrebbe far crescere la competitività su base distrettuale, rafforzando la specializzazione territoriale di ciascuna economia locale. Queste stesse aziende stanno indirizzando, inoltre, le scelte di adozione di tecnologie dell’informazione della comunicazione sia della catena dei fornitori e subfornitori come pure dei clienti, introducendo ad esempio nuovi standard di trasmissione dei dati per la gestione degli ordini e delle commesse. In alcuni distretti, come il Cadore bellunese, Verona, ma anche Prato (dove la progettazione ha già lasciato il passo alla realizzazione di piattaforme Ict condivise) si assiste ad una forte integrazione dei sistemi informativi. Una situazione che in prospettiva dischiude nuovi scenari, per ora in una certa misura ancora da mettere pienamente a fuoco, che potrebbero portare, ad esempio, alla nascita di meta-imprese distrettuali, di sistemi di imprese a rete fortemente integrati e cooperanti secondo una logica di progettazione e realizzazione integrata, ma anche di gestione condivisa delle informazioni di mercato, sui prezzi e sui prodotti e sui mercati di sbocco e su quelli di approvvigionamento.

E’ importante che questo tipo di eccellenze territoriali ed il ruolo emergente delle imprese di medie dimensioni possano diventare occasione per una innovazione anche culturale all’interno dei distretti. Ad oggi, infatti, l’atteggiamento predominante nella maggioranza delle aziende dei distretti esaminati continua a essere quello della strenua difesa delle informazioni aziendali e della diffidenza reciproca. Prevale ancora tra le imprese distrettuali una estrema prudenza nel condividere le informazioni strategiche con le altre imprese concorrenti; questo approccio rappresenta ancora uno dei principali ostacoli allo sviluppo di iniziative innovative e di infrastrutturazione tecnologiche avanzate e condivise tra le imprese distrettuali. Al contrario, in alcune realtà di eccellenza, la consapevolezza che la ricerca dei vantaggi competitivi passa per la capacità dei distretti di creare una forte specializzazione ed una forte condivisione di saperi anche in modo non formalizzato, come pure dalla ricerca di una più forte relazionalità tra soggetti locali ha portato molti soggetti intermedi di rappresentanza ad assumere un nuovo ruolo di servizio capace di dar corpo a entità in grado di realizzare sistemi integrati, piattaforme comuni, sistemi condivisi, in grado di innescare e accompagnare processi di imitazione prima ancora che processi di adattamento forzoso alle scelte tecnologiche introdotte dalle imprese maggiori. Le nuove tecnologie vengono percepite, in questi contesti dove si affermano iniziative congiunte tra corpi intermedi e aziende trainanti, come strumenti efficaci per valorizzare e sistematizzare quei fattori di sviluppo tipici dei sistemi distrettuali che scaturiscono dalle interdipendenze cosiddette “non di mercato” come le regole non formalizzate, le consuetudini, le esperienze, le collaborazioni, le conoscenze diffuse ecc. ma di valorizzare anche il sistema delle relazioni istituzionali tra tutti gli attori locali. I nuovi sistemi Ict condivisi, i portali distrettuali, i sistemi informativi comuni, si inseriscono più o meno consapevolmente all’interno di questa visione del territorio distrettuale come sistema capace di creare valore aggiunto grazie all’integrazione sempre maggiore dei fattori di eccellenza e di conoscenza.

La rete dei fenomeni

Dall’analisi delle 76 aree distrettuali oggetto del secondo rapporto Rur-Censis- Federcomin si evincono nuove dinamiche di diffusione e tendenze significative che sottendono alle scelte e ai comportamenti tecnologici delle Pmi distrettuali. In primo luogo la posizione di cautela, dovuta al timore di condividere informazioni e conoscenze, che caratterizzava l’atteggiamento degli imprenditori già nell’indagine precedente, si stempera. E questo, grazie all’avvio, nei reticoli produttivi, di azioni condivise supportate dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Nel 45 % dei distretti produttivi sono state avviate o sono in progetto iniziative la cui finalità principale è proprio di favorire i contatti e gli scambi di informazione e contenuti tra le aziende.

Le logiche collaborative arginano, dunque, la bassa propensione all’uso di soluzioni tecnologiche avanzate e l’atteggiamento di chiusura della classe imprenditoriale verso le tecnologie di rete. Fioriscono i progetti per la creazione di siti web per lo scambio di informazioni tra aziende (già attivi nel 39,5% dei distretti e in progetto nel 7,9%) e di portali per l’e-procurement interaziendale (già attivi nel 36,8% dei distretti e in progetto nel 9,2%), ma anche iniziative legate alla condivisione di banche dati, portali con un forte orientamento all’e-business e software applicativi.

La capacità di elaborare delle strategie distrettuali, quindi, risulta essere un elemento sempre più significativo per lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione all’interno delle aree distrettuali. Diminuisce, rispetto al 2001, la quota di fatturato investita nell’innovazione tecnologica dalle imprese locali (che passa dall’ 8,7% al 6%), mentre aumenta il bisogno per gli imprenditori di essere orientati nelle proprie scelte e di pianificare gli investimenti in Ict all’interno di strategie complessive di sviluppo.

Nel complesso, le aree in cui è stata elaborata una strategia comune, o si sta iniziando la progettazione di interventi integrati per la diffusione dell’innovazione e delle nuove tecnologie, rappresentano il 61% dell’universo d’indagine.

Per ciò che riguarda l’applicazione delle tecnologie di rete ai sistemi di relazione interni ed esterni alle imprese dall’indagine emerge:

All’interno delle aziende – I risultati mostrano un discreto grado di penetrazione tecnologica delle applicazioni di base legate alla rete Internet. Cresce, rispetto a quanto rilevato nel primo rapporto, il numero di aziende che si pongono rispetto alla rete come fornitori di informazioni, usufruendo del web anche come strumento di marketing aziendale. Nel 39,4% delle economie locali il sito web aziendale risulta uno strumento diffuso in buona parte delle aziende. Tra le applicazioni tecnologiche avanzate le più diffuse sono quelle che impattano sui processi relazionali interni, in circa un quarto delle aree distrettuali risulta buono il livello di diffusione di soluzioni per: collegamento ufficio acquisti e fornitori (29 %), Supply Chain Management (25 %), amministrazione/risorse umane (23,7%), l’accesso da remoto (22,4%), IT consulting (22,4%).

Nelle relazioni tra le unità delocalizzate – Il fenomeno della delocalizzazione delle unità produttive, che riguarda in modo significativo più della metà delle aree distrettuali prese in esame, non rappresenta un fattore di spinta per la diffusione di strumenti tecnologici avanzati: il principale mezzo di comunicazione tra le unità delocalizzate resta la posta elettronica e, in misura più marginale, le soluzioni EDI (trasferimento elettronico dei dati) che vengono impiegate in poco meno di un quarto dei distretti.

Nei rapporti tra imprese – Lo scambio di comunicazioni avviene principalmente via e-mail, mentre sono sostanzialmente assenti soluzioni basate su applicazioni come mailing list, gruppi di discussione specifici, incontri tramite videoconferenze.

Rispetto alla dotazione infrastrutturale dei propri territori cresce il livello di soddisfazione espresso dai referenti distrettuali per la rete autostradale, la rete idrica, la rete tlc, mentre sempre più inadeguate risultano la viabilità ordinaria (75,7%) e quella ferroviaria (68,9%).

Da quanto emerso nel corso dell’indagine sui distretti, la digitalizzazione delle Pmi distrettuali risulta fortemente influenzata dalla natura dei legami tra imprese e tra queste e gli altri attori del territorio. I soggetti più attivi per lo sviluppo di azioni basate sulle tecnologie nelle aree distrettuali risultano essere: l’associazione degli industriali locale (65,6%), la regione (29,5%), la provincia (24,6%) e la camera di commercio (24,6%), seguiti dal comune (21,3%) e dalla struttura di rappresentanza del distretto (21,3%). Le autonomie funzionali e le imprese leader locali giocano, nell’affermazione delle dinamiche innovative distrettuali, il ruolo di propulsori. Ma non tanto, e non solo, per la loro capacità di indurre a comportamenti imitativi o di adattamento forzoso alle scelte tecnologiche le Pmi distrettuali, ma per la capacità di aggregare le piccole e le piccolissime in progetti integrati di sviluppo e valorizzazione del territorio.

La ricerca è stata realizzata insieme a Federcomin. Il gruppo di lavoro, composto da Valentina Piersanti e Mauro Di Giacomo, è stato diretto da Gianni Dominici.

 

 

15 Marzo 2003

 

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Reti di collaborazione e nuove tecnologie per creare valore nei sistemi locali di impresa della provincia di Lecce

 

Un Knowledge-hub per il Salento

 

Attraverso la definizione di strumenti finalizzati ad innalzare la condivisione della conoscenza e la capacità di coordinamento e di cooperazione fra imprese e tessuto locale i distretti produttivi diventano sistemi di produzione dai confini flessibili.

 

 

Sarebbe retorico esordire affermando che quella del Salento è una comunità di imprese e di soggetti istituzionali legati gli uni agli altri da una fitta rete di relazioni. Eppure, almeno un imprenditore salentino ogni tre attiva forme più o meno stabili e più o meno evolute di reti di interscambio di idee con altri imprenditori, non necessariamente della stessa provincia di Lecce. Un’azienda ogni due cerca di captare informazioni utili al miglioramento dei prodotti attraverso lo scambio di idee con i propri fornitori e un’azienda ogni tre acquisisce il medesimo tipo di informazioni dai propri dipendenti. Non vorremmo dare l’idea di essere di fronte ad un’imprenditoria che ha come obiettivo prioritario la creazione di solide reti di relazioni; anzi, in alcuni casi, i giudizi sulle passate esperienze di concertazione locale o sulle attività di collaborazione attraverso appositi consorzi di aziende non sono particolarmente entusiastici. Sarebbe, però, quanto meno ingeneroso parlare di una comunità impermeabile al cambiamento, al dialogo e alla collaborazione. Il Salento è oggi una società che apprende e che rivela preziose reti, spesso poco visibili, di collaborazione, importanti veicoli di conoscenza per creare nuovo valore.

L’indagine, realizzata dal Censis insieme al Centro di Cultura Innovativa di Impresa dell’Università di Lecce, è scaturita dall’esigenza di sondare il livello di interesse per un Knowledge-hub, cioè per una piattaforma tecnologica di rete, che l’Università di Lecce si appresta a sperimentare.

In realtà, l’analisi delle potenzialità di penetrazione, nella business community salentina, del Knowledge-hub è solo il pretesto per analizzare fenomeni più complessi che attualmente caratterizzano vaste parti del territorio della provincia di Lecce e del suo sistema produttivo. Più nel dettaglio, il presupposto concettuale da cui si è partiti è che una piattaforma informativa ad elevato contenuto tecnologico, che ha l’obiettivo di favorire i processi di sviluppo locale e di contribuire alle azioni di governance del territorio, avrà presumibilmente tanta più efficacia e capacità di diffondersi quanto più essa potrà poggiare:

  1. su un sistema di impresa culturalmente evoluto in termini di strategie di mercato, di obiettivi di miglioramento e di spinta all’innovazione;
  2. su reti di imprese che tendono a collaborare per il miglioramento delle proprie performance;
  3. sulla capacità di alcuni soggetti istituzionali (Enti pubblici, Autonomie funzionali e anche le Associazioni di Categoria) di fungere da facilitatori della diffusione di informazioni e da promotori di processi di interscambio e di apprendimento a favore delle imprese.

Trasversale ai punti sopra richiamati è l’idea che le reti collaborative tra imprese favoriscano e, anzi, accelerino i processi di circolazione delle informazioni e delle conoscenze, generando, dunque, veri e propri processi di apprendimento interattivo. E tale circolazione reticolare di conoscenze può creare valore per le singole imprese in quanto consente di ponderare e comprendere gli interventi di miglioramento sui prodotti, sui processi, sulle politiche di mercato, sui marchi, sulla qualità, sull’organizzazione interna dell’azienda, ovvero può permettere di valutare meglio i risultati attesi da un nuovo investimento.

Territorio, imprenditori e Istituzioni nei percorsi dello sviluppo locale

Nell’ambito della ricerca sono state, in primo luogo analizzate le evoluzioni recenti del sistema socio-economico salentino, mettendo in evidenza l’esistenza di un territorio multisfaccettato dal punto di vista sociale, economico e territoriale.

Sono stati presi in considerazione tre aspetti eterogenei, quali la demografia, il mercato del lavoro e la distribuzione del valore aggiunto. Tali dati, così differenti l’uno dall’altro, mettono chiaramente in evidenza le trasformazioni intervenute negli ultimi anni nella provincia di Lecce e le criticità con cui il territorio continua a confrontarsi.

In particolare, è divenuta ormai evidente la pericolosità dello svuotamento demografico registrato negli ultimi anni nel Salento, accompagnato da un parallelo incremento dell’invecchiamento della popolazione. Nel contempo il mercato del lavoro registra interessanti fenomeni di aumento del numero dei posti di lavoro, soprattutto nel terziario e, molto meno nell’industria che vive fasi alterne di espansione e contrazione, mentre l’agricoltura mostra segnali di cedimento dal punto di vista occupazionale e non solo.

Emergono con chiarezza alcuni aspetti fondamentali che caratterizzano il sistema socio-economico locale; in particolare, si accentua il carattere terziario del tessuto produttivo salentino, che registra infatti il numero più alto di addetti e che genera ben il 77% del valore aggiunto provinciale. Il terziario resta però legato soprattutto ad attività tradizionali e molto meno a servizi avanzati. Il settore industriale, composto per lo più da piccole imprese manifatturiere, continua, viceversa, ad attraversare fasi alterne di crisi e di timide riprese, generando appena il 19% del valore aggiunto provinciale e mostrando livelli di produttività piuttosto contenuti se confrontati con quelli del terziario. Infine il settore agricolo appare relegato ormai ad un ruolo sussidiario nel contesto economico locale, contribuendo in modo limitato alla creazione di valore aggiunto con un conseguente basso livello di produttività per singolo occupato. Tutto ciò, nonostante sia in atto un’opera spontanea di rivalutazione di alcune produzioni agricole di qualità, opera per ora evidentemente non sufficiente all’effettivo rilancio del settore primario.

L’analisi territoriale ha inoltre permesso di individuare, nel Salento, la presenza di aggregati comunali con proprie specifiche connotazioni e in grado di rappresentare veri e propri sistemi sub-provinciali, spesso legati gli uni agli altri da rapporti di complementarietà. Si è addivenuti pertanto all’individuazione di cinque differenti gruppi tipologici di Comuni. Il mapping socio-economico si articola nei seguenti raggruppamenti comunali:

  1. la piattaforma manifatturiera, con un’apprezzabile presenza di attività di tipo industriale;
  2. la dorsale delle attività tradizionali, con una preminenza di imprese operanti nel piccolo commercio;
  3. il territorio a rischio di marginalizzazione, con la preminenza di attività agricole che stentano ad accelerare i propri processi di modernizzazione;
  4. i poli direzionali, vale a dire i centri più urbanizzati e ricchi soprattutto in termini di imprese operanti nel terziario;
  5. i catalizzatori dei flussi turistici; vale a dire i Comuni che registrano i più elevati livelli di presenze turistiche e che fungono da poli direzionali per la creazione di un vasto e moderno sistema dell’accoglienza.

L’analisi territoriale è andata tuttavia ben oltre. Proprio nella prospettiva di comprendere l’esistenza di fenomeni di aggregazione e di collaborazione tra imprese, si è scandagliato il territorio e il sistema produttivo nella sua interezza, al fine di capire se oggi il Salento è innervato di così detti cluster produttivi, vale a dire di sistemi locali di imprese caratterizzati da elevati livelli di specializzazione.

Anche in questo caso, sono chiaramente rinvenibili aggregati, più o meno complessi, di imprese, spesso di piccolissime dimensioni, che costituiscono la base essenziale per la formazione, in continuo divenire, di reti collaborative o di apprendimento per il miglioramento delle attività produttive. Ed i cluster sono rinvenibili sia in comparti tradizionali, come il tessile-abbigliamento, il calzaturiero e il meccanico, che in comparti attualmente in fase di rivitalizzazione, come il turismo e l’agro-alimentare. Non si può nascondere, tuttavia, che alcuni di questi settori (come quello dell’abbigliamento e delle calzature) attraversino attualmente una fase di crisi, per certi versi preoccupante, che ha messo a nudo la carenza delle strategie di mercato, poco lungimiranti (tranne rare eccezioni) e scarsamente fondate su moderne politiche commerciali. E d’altra parte, anche altri comparti, come il turismo e l’agroalimentare, pur in fase di rapido sviluppo devono notevolmente migliorare: il primo dal punto di vista dello standard qualitativo dei servizi offerti e il secondo dal punto di vista del potenziamento del sistema distributivo e della commercializzazione.

Sono state inoltre analizzate le reti di collaborazione e di apprendimento attualmente esistenti tra le imprese salentine. L’analisi di tali fenomeni complessi è stata effettuata sulla base dei risultati di un’indagine condotta dal Censis alla fine del 2002 su un campione di 200 aziende manifatturiere e di servizi.

Su quale cultura imprenditoriale si innestano, dunque, le reti di conoscenza e di collaborazione?

Dallo studio delle strategie di mercato e degli obiettivi di crescita di medio-lungo periodo delle imprese analizzate, emergono tre differenti stili comportamentali, che a seconda dei casi favoriscono o impediscono la formazioni di reti di collaborazione:

  • vi è un primo gruppo ristretto di imprenditori leader, capaci di innovare i prodotti e soprattutto le politiche di mercato e in grado di fungere da punto di riferimento per iniziative di collaborazione a livello locale;
  • vi è un secondo gruppo composto da una fascia ampia di imprenditori attualmente molto focalizzati sul miglioramento dei prodotti e, in taluni casi, pericolosamente meno attenti a strategie di commercializzazione moderne e efficaci;
  • vi è un terzo gruppo, composto di una fascia altrettanto ampia di imprenditori poco propensi ad innovare e piuttosto inclini a subire, più che guidare, i mutamenti dell’ambiente circostante.

A fronte di un sistema imprenditoriale così articolato è possibile parlare di reti di collaborazione e di apprendimento nel Salento? Il sistema presenta molti chiaro-scuri.

Il 58% delle aziende analizzate nell’indagine campionaria non ha partecipato, negli ultimi tre anni, ad alcuna iniziativa di collaborazione. E’ altrettanto vero, però, che un’azienda ogni tre (cioè il restante 42% del campione) partecipa a reti collaborative, per lo più finalizzate al miglioramento delle politiche commerciali e di promozione, all’innovazione di prodotti e processi produttivi, allo scambio di informazioni tecniche (es.: sulla possibilità di acquisto di nuovi macchinari, sulla normativa, su incentivi vari). Meno frequenti sembrano essere, tra le imprese, i contatti finalizzati al rafforzamento della presenza sui mercati esteri e la contrattazione collettiva degli approvvigionamenti. Il caso più diffuso e ovvio di collaborazione è tra impresa produttrice e impresa fornitrice (con l’interscambio di informazioni che possono riguardare il miglioramento dei processi distributivi o il miglioramento dei prodotti), ma non mancano interrelazioni più complesse, con altre imprese dello stesso settore o con imprenditori leader a livello locale.

Occorre riconoscere che molte delle reti di cooperazione si fondano su legami piuttosto labili, che agiscono poco sulle leve strategiche più difficili da gestire e migliorare come: l’innovazione di prodotto, l’ideazione di un marchio, la costituzione di centri comuni di approvvigionamento al fine di risparmiare sui costi di produzione. Tuttavia è innegabile che le reti fino ad oggi costituite abbiano generato nuovo valore per molte imprese, accelerando alcuni processi di crescita:

  • per il 44,3% delle imprese che partecipano a iniziative di collaborazione, la condivisione di informazioni ha portato all’acquisizione di nuove competenze;
  • per il 15% si sono innescati processi di innovazione tecnologica, o innovazione di processi e di prodotti;
  • per quasi il 9% si registrano cospicue riduzioni dei costi aziendali.

Il panorama complessivo appare dunque confortante: sempre più, attraverso reti formali o informali di conoscenza, di scambio di informazioni e di apprendimento, i cluster di imprese e le Istituzioni locali si configurano come una business community relativamente coesa al proprio interno, dotata di soggetti in grado di esercitare una funzione di leadership e capaci di attivare processi di innovazione e di condensare interessi specifici.

Infine, il knowledge-hub progettato dall’Università di Lecce con finalità di promozione della cultura di impresa e in grado di trattare i temi legati allo sviluppo locale non può che essere uno strumento adatto a sostenere le reti collaborative di cui ampiamente si è indagato nella ricerca. Qui vale la pena solo di accennare che il 58% delle imprese analizzate sarebbe interessato a fruire di un nuovo portale Internet capace di offrire informazioni su potenziali mercati di sbocco delle imprese salentine e attraverso cui sia possibile attivare un’efficace azione di promozione delle risorse di cui la provincia di Lecce dispone.

Ancora più nello specifico, secondo gli imprenditori intervistati, il knowledge-hub dovrebbe soprattutto offrire informazioni e modulistica su progetti di sviluppo locale e sugli incentivi finanziari per le imprese, informazioni su possibili mercati di sbocco, dati e documenti di facile lettura per comprendere la congiuntura economica locale e strumenti per attrarre nuovi investimenti produttivi nel Salento.

La nuova piattaforma tecnologica viene dunque intesa come motore di sviluppo locale, in grado di favorire la collaborazione tra aziende e tra soggetti istituzionali operanti sul territorio e l’attivazione di progetti di incentivazione all’innovazione delle imprese, fino ad assurgere a strumento di marketing del territorio.

La ricerca è stata realizzata insieme al Centro di Cultura Innovativa di Impresa dell’Università di Lecce dal gruppo di lavoro, composto da Francesco Estrafallaces e Valentina Piersanti.

 

 

15 Marzo 2003

 

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Un matrimonio riuscito ma la città digitale cerca ancora la qualità

 

Internet e Comuni

 

La grande corsa nel web della pubblica amministrazione ha creato un vero fenomeno di saturazione. Il rischio però è quello di dimenticare la missione di servizio. Come dimostra l’ultima indagine.

 

di Paolo Subioli

 

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Dopo aver tanto faticato a guadagnare una propria legittimazione all’interno degli Enti pubblici, la rete Internet si ritrova oggi fin troppo “istituzionalizzata”, al punto che non riesce più a dispiegare pienamente il proprio potenziale in termini di relazionalità, e conseguentemente a dare ai cittadini servizi di comunicazione realmente efficienti. E’ questo il quadro un po’ paradossale che emerge dall’analisi che la RUR e il Censis annualmente ci offrono sulla telematica degli enti locali (le “Città digitali”), quest’anno realizzata in collaborazione con il Formez ed il Dipartimento della Funzione Pubblica.

L’indagine è l’unica del suo genere compiuta con una metodologia completa e rigorosa (quasi 600 siti vengono analizzati utilizzando un centinaio di indicatori diversi, aggiornati ogni anno) e ci ha consentito, nel corso dei suoi 7 anni di vita, di seguire passo passo l’evoluzione dell’e-goverment nel nostro Paese, sin da quando ad utilizzare Internet non era che un pugno di Comuni in vena di sperimentazioni. I vari rapporti annuali ci hanno raccontato il progressivo estendersi del fenomeno, sino all’attuale saturazione, in termini quantitativi: il sito web istituzionale è infatti oggi presente nel 100% delle Regioni e delle Province e soltanto uno dei Comuni capoluogo (Agrigento) ne è privo.

La RUR ci può quindi parlare delle Città digitali con la famigliarità di chi descrive qualcuno che conosce sin dalla nascita, ed è questo lo spirito con cui quest’anno ci presenta una ricostruzione della loro storia, descritta come una progressiva evoluzione avvenuta in tre fasi.

  1. Una prima fase “carismatica” ha visto la nascita della telematica istituzionale attorno al fenomeno delle Reti civiche, sorte non come atti di governo degli amministratori pubblici, ma come iniziative di singoli innovatori, il cui impegno e perseveranza erano riconducibili più all’alveo del volontariato che a quello della pratica professionale. Attorno al sito della città digitale, si condensavano le iniziative delle diverse soggettualità locali: l’Ente istituzionale, la camera di commercio e l’università.
  2. La seconda fase è stata caratterizzata dalla “istituzionalizzazione” del sito Internet, fino a diventare uno dei principali canali di comunicazione dell’Ente locale. Grazie alle iniziative legate alla telematica, si avvia un processo di modernizzazione e innovazione del governo pubblico. Gli aspetti relazionali e partecipativi passano in secondo piano. Nel frattempo si registra un allargamento del fenomeno, che tendenzialmente interessa la totalità degli Enti locali.
  3. La terza fase è detta della “professionalizzazione”, poiché è caratterizzata dalla ricerca di soluzioni che consentano di attivare servizi on line più sofisticati, in grado di incidere direttamente sui procedimenti amministrativi, consentendo alle famiglie ed alle aziende di effettuare le pratiche di proprio interesse direttamente on line. Il baricentro, in questa fase, è di nuovo spostato sulla cooperazione tra attori locali diversi, necessaria per rendere operativi dei veri e propri servizi transazionali.

Il passaggio a questa terza fase è, per la verità, piuttosto faticoso, come ci dimostra il numero veramente esiguo di veri servizi on line disponibili. Il Governo si è posto obiettivi ambiziosi, su questo fronte, puntando al traguardo di avere completamente on line, entro la fine della legislatura, 12 servizi ritenuti prioritari. I ricercatori sono andati a cercarli, ricavando un bottino assai magro: l’ICI è il servizio più diffuso tra quelli con la possibilità di effettuare la transazione, e interessa solo il 17,6% dei Comuni capoluogo. Per il resto, solo altri 5 servizi hanno una certa quota di Comuni in grado di effettuare la transazione on line, ma non si va mai oltre il 4,9%.

La priorità del momento è quindi quella di portare on line i servizi della Pubblica Amministrazione, “professionalizzando” ancora di più i siti Web e le strutture che se ne occupano. Di fronte a questa esigenza, gli Enti locali non rimangono a guardare, ed anzi escogitano le soluzioni più varie, come del resto è successo sin dall’inizio in questo settore. Una delle strade più seguite è quella di creare dei siti specializzati, dei “portali” dove far confluire i servizi on line. Ma la complessità di gestione di tali siti, difficilmente alla portata di un Ente locale, ha spinto diverse realtà a sconfinare verso il settore privato: chi creando delle società ad hoc, seppure a maggioranza pubblica, chi stringendo delle partnership con le aziende di servizi pubblici (che nella maggioranza dei casi sono di proprietà comunale), chi ancora mettendosi in società direttamente con imprese private.

Assistiamo quindi ad una specializzazione nella gestione dei siti a livello locale: da un lato la funzione istituzionale (sempre appannaggio dell’Ente locale), dall’altro quella di servizio, che in alcuni casi – come quello della riscossione dei tributi locali – è gestita direttamente da un soggetto esterno, come l’istituto di credito concessionario per i tributi. Anche la funzione relazionale – che si sostanzia nell’attivazione di strumenti di comunicazione orizzontale, di dibattito, di dialogo amministratori cittadini, di ascolto – tende a rimanere al di fuori dell’alveo istituzionale. Questo significa che, in qualche modo, si è invertita la tendenza degli ultimi anni, che vedeva un accentramento verso l’Ente locale delle diverse funzioni legate alla telematica. Ma la partita è ancora incerta, e infatti non sappiamo come andrà a finire: assisteremo ad una differenziazione dei ruoli, con una pluralità di soggetti locali, ciascuno a svolgere il proprio ruolo rispetto alle tre diverse polarità (relazionale, istituzionale, di servizi), oppure le diverse funzioni verranno gestite in maniera unitaria, da un unico soggetto che, inevitabilmente coinciderà con l’ente locale?

I Comuni si trovano dunque stretti tra una richiesta di maggiore sviluppo della componente relazionale (da mettere anche in relazione con le sempre più diffuse pratiche di customer satisfaction) e la necessità di soddisfare le esigenze più pratiche di cittadini ed aziende, mettendo a disposizione veri servizi on line. Quello che perciò serve è di utilizzare maggiormente la rete per quello che è, ovvero un sistema di relazioni, attraverso il quale sviluppare forme di collaborazione e condivisione di risorse, dal momento che la maggior parte dei procedimenti amministrativi coinvolge più Enti e livelli istituzionali. Il recente Avviso per l’e-government potrà contribuire positivamente, in tal senso, dal momento che la gran parte dei progetti che verranno finanziati prevede la partecipazione di più Enti, nell’ottica della collaborazione inter-istituzionale.

 

LE RETI CIVICHE NELLA PRIMA METÀ DEGLI ANNI ’90 E L’ATTUALE PROCESSO DI E-GOVERNMENT A LIVELLO LOCALE

L’esperienza delle reti civiche L’esperienza dei siti istituzionali
Nascita: prima metà degli anni ’90 Nascita: seconda metà degli anni ’90
Ispirate all’esperienza americana di telematica civica Evoluzione delle “reti civiche” di promozione istituzionale
Soggetto promotore: cittadini, associazioni o istituzioni locali con un coinvolgimento “dal basso” Soggetto promotore: istituzione locale. Coinvolgimento “dall’alto”
Obiettivo: garantire a tutti accesso universale, partecipazione alla vita collettiva, riconoscimento delle proprie opinioni, in un contesto di comunicazione multidirezionale Obiettivo: offrire accesso universale alla PA attraverso nuovi strumenti, snellire le procedure interne, interconnettere le amministrazioni e i loro settori, semplificare e “personalizzare” le relazioni tra cittadino e PA
Rete = nuova trama di dialoghi per costruire un rapporto fra soggetti con medesimi interessi in un contesto locale Rete = canale diffuso per la comunicazione con il cittadino, il collegamento e lo scambio interamministrativo
Focus: attenzione ai contenuti e ai modi d’uso delle nuove tecnologie, a ciò che la rete dovrebbe veicolare e alle dinamiche d’interazione innescate Focus: forme e soluzioni innovative per l’uso di Internet e della multicanalità nel nuovo contesto del governo elettronico
Prevalenza di una logica di relazione Prevalenza di una logica di servizio

 

Fonte: indagine Rur, Dipartimento della Funzione Pubblica, Formez e Censis, 2002

 

PRESENZA E LIVELLO DI INTERAZIONE DEL SERVIZIO ON LINE RELATIVO AL PAGAMENTO DELL’ICI A GIUGNO 2002 (V.A. E VAL.%)

  v.a. %
Assenza di informazioni 21 20,4
Presenza di informazioni 30 29,2
Interazione one way (ad es. download modulistica) 20 19,4
Interazione two way (ad es. calcolo ICI on line) 21 20,4
Pagamento on line su sito esterno 7 6,8
Pagmento on line sullo stesso sito comunale 4 3,8

 

Fonte: indagine Rur, Dipartimento della Funzione Pubblica, Formez e Censis, 2002

Articolo pubblicato in: Guida agli Enti locali – Il Sole-24 Ore, n. 10, 15 marzo 2003

 

 

15 Marzo 2003

 

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Distretti produttivi e ICT

 

L’innovazione mancata tra i distretti produttivi

 

Rimane inadeguata la dotazione di ICT nei distretti produttivi italiani.

 

di Valentina Piersanti

 

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Il momento attuale appare segnato da una serie di passaggi che erano solo in parte prevedibili. Ai rigidi confini territoriali si affiancano mobili localizzazioni globali, l’omogeneità non è più la caratteristica imprescindibile per la definizione dei distretti e le politiche regionali tentano di mettere a punto nuovi criteri delimitativi capaci di cogliere le sinergie e le dinamiche relazionali aprendosi ad una dimensione di plurisettorialità.

Emerge una tendenza che vede coesistere approcci basati sulla condivisione di obiettivi e la contiguità virtuale, insieme al tradizionale modello burocratico e amministrativo, secondo il quale il distretto è dato da un insieme di indici statistici quali: l’industrializzazione manifatturiera, la densità imprenditoriale, la specializzazione produttiva, la concentrazione e la contiguità territoriale. Di notevole interesse in tal senso appare l’approccio lombardo che riconosce, accanto ai distretti tradizionali, cinque metadistretti. L’obiettivo è di dare rilevanza formale ad aggregazioni tematiche di tipo orizzontale, a modelli organizzativi non necessariamente concentrati sul territorio, in cui la chiave potenziale di successo è data dalla rete costituita da attori differenti e accumulo di conoscenze e risorse umane. Con l’idea del metadistretto viene sottolineata la centralità delle relazioni intersettoriali e delle conoscenze condivise con l’obiettivo di dare risposta agli effetti prodotti dalla globalizzazione e dall’avvento delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (Ict).

L’allargamento della dimensione operativa e dei mercati su scala planetaria ha prodotto un allargamento della scala territoriale dei distretti che necessariamente si riflette sulle scelte normative regionali.

Da sempre distretto significa legame, la novità è rappresentata, da un lato dall’estendersi delle relazioni, interne ed esterne, a contesti internazionali, e dall’altro dal radicamento sul territorio con le diverse componenti. Al di là delle interpretazioni divergenti che si possono dare a questo fenomeno, i distretti si trovano di fronte ad una duplice sfida: procedere ad un’ulteriore scomposizione del reticolo produttivo, con un’accentuata internazionalizzazione, e accrescere le capacità competitive dando alla forma reticolare un appropriato sistema tecnologico. Ed è in questo scenario che le dinamiche di rete, che caratterizzano i distretti produttivi italiani, possono utilmente essere lette attraverso l’analisi del grado e delle modalità di utilizzo delle Ict.

Dal I Rapporto sui distretti produttivi digitali 2001 (realizzato dalla Rur insieme al Censis e Federcomin), la dotazione di Ict nei distretti risulta caratterizzata da una situazione complessivamente inadeguata con riguardo alle tecnologie di supporto delle relazioni reticolari nei sistemi produttivi. Nelle imprese, nonostante il ricorso crescente alla posta elettronica e alle connessioni internet, stenta a diffondersi l’attenzione verso soluzioni e-commerce, mentre l’accesso alle soluzioni gestionali avanzate e alle tecnologie complesse, si mostra, seppure lentamente, in costante crescita.

Questo fenomeno viene sostanzialmente confermato da un’indagine Censis, condotta negli ultimi mesi, sulle PMI distrettuali del Nord-Est in cui, al di là dei dati che fanno desumere un atteggiamento di cautela diffuso, si intravede, da parte degli imprenditori interpellati, una nuova consapevolezza rispetto alle scelte relative alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’avvento delle Ict nei reticoli produttivi è segnato da due fasi: la prima in cui le aspettative di crescita e sviluppo sembravano illimitate ed immediatamente legate al semplice utilizzo, e la seconda caratterizzata da delusione per il non avvenuto cambiamento. In entrambe queste fasi le scelte degli imprenditori sono definibili per la maggior parte come ingenue e poco strutturate rispetto alle strategie aziendali. Ma, se prima questo era ascrivibile alla bassa consapevolezza e alle scarse competenze, oggi il ritardo delle piccole e medie aziende italiane sembra essere legato al bisogno di verifica dei vantaggi attesi e di integrazione della rete in strategie di più ampio respiro. In altre parole, una volta superate le diffidenze e le inabilità iniziali, gli imprenditori iniziano a considerare le tecnologie non più come obiettivi in sé, ma come strumenti funzionali rispetto alle strategie aziendali. Dall’analisi dei dati dell’indagine Censis-Infracom 2002 emerge, nei distretti del Nord-Est, uno scenario di Pmi che, seppur a diversi livelli, hanno comunque intrapreso un cammino verso l’innovazione. La maggior parte delle aziende si trova al primo stadio del percorso che dovrebbe portare verso l’utilizzo di tecnologie di rete a supporto delle relazioni interne ed esterne ai distretti. Il 64,5% delle imprese interpellate, infatti, dichiara di avere una connessione ad Internet. (Tab.1).

Il fatto che tra le aziende connesse solo il 41,6% ha attiva un’e-mail aziendale e la utilizza, indica, da un lato il persistere di un timido primo stadio di penetrazione tecnologica, e dall’altro è testimone dell’intramontabile primato che le comunicazioni informali e dirette mantengono nelle imprese distrettuali. Un’ulteriore misura della diffusione delle Ict è rappresentato dalla presenza di siti aziendali operativi. Solo il 34% delle imprese è passata a questa fase, superando così il modello one way di fruizione del web che confina il rapporto internet-impresa entro canali monodirezionali in cui le aziende si limitano a ricevere.

 

 

TAB. 1 – PMI E NUOVE TECNOLOGIE NORD-EST (VAL.% PER AREA GEOGRAFICA)

  Area      
Tecnologia Ovest Centro Est Totale
Accesso a Internet 63,1 60,4 70,9 64,5
E-mail attiva e utilizzata 35,7 40,4 51,5 41,6
Disponibilità di un sito web 35,7 25,9 40,2 34,0
Utenti Internet assidui 29,3 25,9 35,1 29,9

 

Fonte: Censis-Infracom, 2002

Le Ict, passando dall’essere considerate elemento salvifico per le dinamiche economiche distrettuali a rappresentare strumenti di supporto alle strategie produttive, portano all’espansione del bisogno di pianificazione delle scelte di natura tecnologica. In una recente indagine condotta sulle Pmi distrettuali della provincia di Macerata il contenimento dei costi per hardware e software risulta essere un fattore limitante nelle scelte delle imprese distrettuali di piccole e medie dimensioni. Da sempre in posizione di difficoltà nell’affrontare le spese per l’innovazione, gli imprenditori, anche nella percezione degli ostacoli, sembrano aver attenuato i timori iniziali sostituendoli in alcuni casi con una conquistata consapevolezza, ed in altri, con una prematura disillusione i soggetti interpellati non considerano sufficientemente “rilevanti” per l’implementazione di tecnologie nelle proprie aziende i costi per la formazione, la mancanza di risorse umane capaci e di informazioni, o almeno non quanto il fatto che il basso uso di tecnologie di rete è il frutto di una precisa scelta: “non rientra nella strategia aziendale”.

Non si manifestano impedimenti né alibi di natura strutturale o relativi alle competenze, ma si verificano vere e proprie resistenze la cui radice va ricercata in un sistema fatto di feticci tecnologici, individualismo imprenditoriale, ma anche di disinformazione sulle potenzialità delle applicazioni tecnologiche avanzate alle strategie distrettuali.

Un elemento eloquente, per la comprensione dei legami tra diffusione delle tecnologie e sviluppo dei sistemi territoriali, è costituito dall’analisi delle iniziative innovative che stanno nascendo nei distretti. C’è una tendenza in atto che in qualche modo supera il grande interrogativo sul legame tra la diffusione delle tecnologie e lo sviluppo dei sistemi territoriali. Partendo dall’analisi di alcune esperienze sistemiche, sviluppatesi per lo più nei distretti “consolidati”, è possibile notarne una caratteristica comune: mettere a punto interventi che strutturano progetti integrati in cui le reti informative risultano complementari ad altre scelte di carattere organizzativo, logistico, di marketing, ecc., mutandone il loro ruolo all’interno dei distretti.

A fronte di un trend di rallentamento nella diffusione delle reti vaste, pensiamo ad Internet, il cui uso si è allargato nelle Pmi secondo uno sviluppo più o meno spontaneo dovuto principalmente ad effetti imitativi. Si stanno sperimentando, nei distretti industriali, reti specializzate e di dimensione limitata, in cui l’informazione circolante si fa più complessa e di maggior valore comunicativo a livello territoriale e si connette fortemente alle politiche di marketing, ricerca e logistica. Questo passaggio, che per ora riguarda solo pochi nuovi progetti, produce effetti rilevanti sui processi di aggregazione territoriale, sugli atteggiamenti verso le tecnologie e sui modelli di diffusione di queste.

I modelli diffusivi riscontrati in questo tipo di reti sono principalmente gerarchici, vale a dire che le imprese capofila o i soggetti esterni alla filiera produttiva, ma comunque in grado di modificarla, si fanno promotori di innovazione ed impongono alle imprese più piccole nuovi standard comunicativi e sistemi relazionali. La crescita di soluzioni legate a forme avanzate di sapere tecnologico e la cooptazione in queste delle Pmi crea situazioni in cui gli atteggiamenti di diffidenza verso l’uso di Ict di base, e il conseguente scarso uso delle tecnologie legate ad internet e alle sue applicazioni, possono venir sostituiti da adesione a soluzioni supportate da sistemi tecnologici complessi. Dietro tutto ciò troviamo consorzi o gruppi imprenditoriali forti che guidano le molecole imprenditoriali locali nella scelta di queste soluzioni, superando il modello diffusivo spontaneo, tipico della prima fase di sviluppo delle Ict. Ciò è dovuto principalmente alla natura dei nuovi progetti, radicati nella dimensione locale e inseriti in strategie complementari.

Esempi significativi si stanno verificando nel distretto calzaturiero di Verona, in quello della concia di Arzignano, nell’area del Fermano-Maceratese ed in altri reticoli produttivi. Si tratta principalmente di progetti che, anche se basati sulle tecnologie per l’informazione e la comunicazione, non sono costituiti solo da strumenti tecnologici, raffigurano, prima di tutto, attività di tipo organizzativo ricche di implicazioni relazionali (Tav. 1).

Questa tendenza si riscontra nell’analisi dei progetti avviati nei diversi contesti territoriali in cui il sito web e il portale e-commerce si incuneano in progetti locali supportati da una pluralità di strumenti basati su Ict. Anche se non in modo diffuso, cresce la consapevolezza che: non di solo web sono fatte le reti.

 

TAV.1 – INIZIATIVE AVVIATE O IN PROGETTO IN ALCUNI DEI DISTRETTI INDUSTRIALI

Distretti Sistema di E-procurement distrettuale Sistema di e-commerce distrettuale Sistema extranet (tra aziende e con i clienti/fornitori) Banche dati comuni
Arzignano
Calzaturiero – Verona  
Canavese
Del metallo- Maniago
Fermano-Maceratese  
Gallaratese    
Il Tarì di Caserta  
Monferrato  
Orafo -Vicenza  
Pesaro    
Piana del Cavaliere  
Riviera del Brenta
Santa Croce sull’Arno    
Valle dell’Arno    
Viadanese Casalasco  

 

Fonte: Censis 2002

Testo tratto dal 36° Rapporto sulla situazione sociale del paese della Fondazione Censis

 

 

15 Marzo 2003

 

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Dalla trasparenza al rilancio del territorio la tecnologia diventa motore dello sviluppo 

 

Città digitali

 

Creati prevalentemente per favorire la comunicazione istituzionale, i siti web pubblici stanno rafforzando i servizi on line e i contenuti. Il rapporto sulle Città digitali descrive tutti i cambiamenti in corso

 

di Paolo Subioli

 

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Alla base del 7° Rapporto sulle Città digitali in Italia, presentato lo scorso 24 febbraio a Roma da RUR, Censis, Formez e Dipartimento della Funzione Pubblica, c’è una rigorosa metodologia d’analisi, messa a punto nel corso degli anni e basata su criteri oggettivi. Ciascun sito viene analizzato da una squadra di rilevatori, la quale misura circa 100 indicatori, sia di tipo strettamente tecnico che qualitativo. I valori degli indicatori vengono “normalizzati”, cioè resi omogenei, e “pesati”, dopo essere stati raggruppati in 6 famiglie, riconducibili ad altrettanti temi, che possono essere visti come le 6 dimensioni tramite le quali è possibile leggere il fenomeno. In tal modo, è possibile ricavare un unico valore per ciascuno delle 6 “dimensioni”. Dalla media dei 6 valori si ricava l’indice ARPA (Analisi delle Reti della Pubblica Amministrazione), che esprime infine con un unico valore la qualità del sito analizzato. Grazie all’indice ARPA, vengono stilate ogni anno le classifiche degli Enti locali on line, ma la stessa analisi complessiva di ciascuno dei 6 temi fornisce indicazioni preziose per l’interpretazione del fenomeno dell’e-government locale.

Vediamo dunque cosa ha fatto emergere l’indagine svolta nel corso del 2002, per ciascuna delle 6 aree tematiche.

Contenuti istituzionali e trasparenza amministrativa
Le pubbliche amministrazioni sembrano aver compreso che il web non è semplicemente un nuovo canale per replicare le forme canoniche della comunicazione istituzionale: la visibilità dell’amministrazione attraverso Internet comporta la riorganizzazione ed il ripensamento della propria offerta informativa e di servizi, per adattarla al mezzo. Rispetto allo scorso anno, in particolare, è cresciuto l’impegno a descrivere in maniera esauriente le strutture dell’amministrazione, con una più consapevole e ragionata logica di presentazione, che evidenzia con chiarezza obiettivi e compiti dei vari uffici. Tra i servizi finalizzati alla trasparenza, c’è da segnalare un incremento notevole, rispetto allo scorso anno, della pubblicazione delle delibere di Giunta. Gli stessi URP raffinano i propri strumenti, adottando tra le altre cose nomi originali e facilmente memorizzabili per i servizi on line (QuiRegione, SpazioRegione, ecc.).

Ma se è cresciuta negli anni la capacità comunicativa degli Enti pubblici su Internet, è stata prestata minore attenzione alla capacità degli strumenti interattivi di stimolare la partecipazione attiva del cittadino all’azione amministrativa, perdendo – almeno per il momento – la possibilità di far partecipare i cittadini alla discussione su temi di interesse collettivo.

Qualità e interattività dei servizi
Il panorama dei servizi on line disponibili mostra, rispetto allo scorso anno, una crescita contenuta. Ma si tratterebbe di un anno di attesa, poiché molte amministrazioni hanno lavorato in fase di progettazione in occasione del recente bando di e-government. Degli 80 servizi per cittadini e imprese definiti “prioritari” dal Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie, ne è stato selezionato per l’analisi un nucleo di 12, che attualmente si assestano tutti ad un livello essenzialmente informativo. Il livello massimo di interazione (transazione completa) si raggiunge solo per l’ICI, che è possibile pagare on line nel 17,6% dei casi analizzati. Il ritardo nell’implementazione di procedure di pagamento telematico, secondo il Rapporto, non è da ricondursi a fattori riguardanti la disponibilità di soluzioni tecnologiche, bensì ad una cultura “digitale” ancora poco radicata, sia da parte delle amministrazioni che degli utenti.

La crescita dei servizi avverrà molto probabilmente sui nuovi Portali di servizi che stanno nascendo in questi mesi dalla collaborazione tra le istituzioni locali, le public utilities, i soggetti privati, le altre amministrazioni (Tu6Genova, PortalePrato, e-Cremona, e-Mantova, ecc.).

Usabilità e accessibilità
Nonostante una maggiore sensibilità diffusa e le diverse “linee guida” pubblicate sul tema, usare e accedere ai siti Internet delle istituzioni locali non si rivela a tutt’oggi un’esperienza priva di barriere. Ricordiamo che per usabilità si intende la facilità con cui un sito ci permette di raggiungere i nostri scopi e per accessibilità la possibilità di poter usufruire dei diversi servizi anche da parte di persone con disabilità di vario tipo.

Nel campo dell’usabilità e accessibilità, si presenta con forza il tema della formazione degli operatori: di chi sviluppa il sito, di chi lo gestisce, di chi immette i contenuti. Rendere i siti web semplici ed intuitivi dovrebbe infatti essere considerato un principio cardine, in fase di progettazione, ma tale attenzione richiede un livello di professionalità che attualmente è riscontrabile solo in una parte delle amministrazioni locali che si sono dotate di un sito Internet.

Sul fronde della usabilità, c’è da segnalare l’affermazione della metafora degli “eventi della vita” come paradigma di riferimento per presentare all’utente i diversi servizi. Questi ultimi tendenzialmente non verranno più presentati in base alla suddivisione dell’Ente in uffici, ma sulla scorta di una semplice tassonomia fondata sui principali eventi della vita: studiare, avere una casa, fare un figlio, lavorare, andare in pensione, eccetera.

Cooperazioni, relazionalità e communities
Il sito Internet dell’amministrazione pubblica, già solo per sue caratteristiche strutturali, è uno strumento di creazione di reti: reti redazionali, reti di soggetti istituzionali, reti di soggetti non istituzionali attivi sul territorio, reti di cittadini.

Di fronte alla molteplicità degli apporti e delle collaborazioni, sempre più estese, i siti Internet hanno subito dei cambiamenti di natura morfologica. Vantaggi e svantaggi delle scelte relative ai legami relazionali tra le varie aree del sito sono legate, soprattutto, agli aspetti di orientamento, riconoscibilità istituzionale, raggiungibilità e memorizzazione dei siti e delle loro sezioni.

Tuttavia, all’interno dei siti istituzionali, si stenta a fare ricorso a strumenti in grado di favorire la creazione di “communities” tra gli utenti del sito stesso. Si perde in tal modo un’occasione di “fidelizzare” l’utente al sito istituzionale, di fare di questo un luogo di incontro e di scambio. Nella realtà dei siti istituzionali delle PA locali, laddove questa possibilità sembra essere stata compresa, non si riconosce un progetto strutturato, una strategia che punti alla costruzione di una vasta community con moderatori, programmi e obiettivi ben definiti.

Marketing territoriale e sviluppo economico
Gli strumenti telematici si rivelano, per i progetti di sviluppo territoriale delle pubbliche amministrazioni locali, un valido ausilio, per la loro carica di innovazione e per le possibilità di scambio ed estensione della conoscenza. Le iniziative più incisive sono quelle in grado di stabilire cooperazioni tra più enti istituzionali, con privati e terzo settore, per raggiungere il medesimo obiettivo della promozione del territorio.

Ma è ancora piuttosto ridotto l’impegno degli Enti locali per attrarre investimenti sul territorio attraverso Internet. Anche la semplice informazione sulle attività economiche esistenti è carente: tali informazioni sono presenti, rispettivamente, nel 20% e nel 24% dei siti di province e comuni capoluogo. Non vengono, inoltre, informati adeguatamente gli investitori circa le opportunità e le agevolazioni finanziarie.

Buone prospettive potrebbero derivare da una maggiore diffusione degli sportelli unici per le attività produttive (SUAP) e dalla creazione di “reti di SUAP” territoriali. Gli sportelli telematici sono attualmente abbastanza diffusi, sebbene ancora non in grado di fornire transazioni complete. E’ possibile, ad ogni modo, avviare la procedura di erogazione del servizio nel 13,7% dei siti dei comuni capoluogo.

Professionalizzazione dei dispositivi tecnologici
Banda larga e “wireless” (Internet senza fili) sono le applicazioni su cui maggiormente si punta a livello governativo per realizzare una “economia basata sulla conoscenza”. L’innovazione, tuttavia, sembra per il momento destinata ad essere declinata nelle forme più canoniche della telematica basata su siti web e su semplici servizi multicanale. In questo contesto, le amministrazioni devono rendere i dispositivi tecnologici dei propri siti Internet agili, per facilitare la navigazione attraverso linee ancora troppo lente e onerose connessioni tariffate a tempo. I tempi di caricamento delle pagine Internet, ad esempio, risultano ancora per la maggior parte eccessivamente lunghi.
Dall’indagine emerge inoltre che nelle pubbliche amministrazioni locali la presenza di sistemi Open Source è ancora marginale, ma comunque significativa, in termini di prospettive per i prossimi anni. Ricordiamo che l’Open Source è una forma di software basata su standard aperti, cioè che non appartengono a nessuno in particolare, essendo sviluppati da comunità libere di sviluppatori. E’ in sostanza una formula che mira a rendere le organizzazioni indipendenti dalle grandi multinazionali del software, la Microsoft in particolare, che finiscono per pesare fortemente sui bilanci delle organizzazioni con le proprie royalties.

La classifica del web istituzionale
Grazie al metodo ARPA è possibile stilare, da 7 anni a questa parte, delle speciali classifiche di qualità dei siti istituzionali nelle 4 categorie di: Regioni, Province, Capoluoghi di Provincia, Comuni con più di 5.000 abitanti. Tali classifiche, oltre a formare inevitabilmente delle graduatorie di merito tra i diversi Enti, consentono di ricavare delle utili chiavi di lettura rispetto allo sviluppo dell’e-government. Ad esempio, negli scorsi anni abbiamo assistito ad una prevalenza delle città di dimensioni medie (Bologna, Modena, Siena) e ad un dominio territoriale delle regioni dell’area centro-settentrionale “rossa” (Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Ligura). Poi hanno cominciato ad emergere città più grandi, come Roma, maggiormente dotate di risorse per far fronte alla complessità tecnologico-organizzativa dell’e-government.

Cosa è successo nel corso del 2002? Le novità non sono molte. Una è però abbastanza clamorosa: il “sorpasso” dell’Emilia-Romagna, da parte delle Liguria, nella classifica delle regioni, dopo anni di dominio assoluto. Se si va a vedere come è composta questa nuova supremazia, ci si avvede del fatto che è generalizzata, poiché interessa tutti gli indici settoriali, ad eccezione della sola qualità tecnologica. Le Province sono decisamente più instabili, ma la parte alta della classifica è sempre dominata da una forte componente emiliano-romagnola. Non è cambiata molto invece la classifica dei Comuni capoluogo, dove c’è da notare soprattutto il ritorno in vetta di Modena e Pesaro, due centri all’avanguardia sin dai primi anni di sviluppo dei servizi comunali on line. Tutta la classifica di quest’anno risulta più in linea con le tendenze storiche del settore, i cui scostamenti dello scorso anno erano evidentemente imputabili ad un certo impasse di fronte alla prospettiva di dovere andare necessariamente oltre la fase avanguardistica delle reti civiche.

Il dato che comunque deve continuare a farci riflettere è lo squilibrio territoriale tra Nord e Sud. La telematica, tecnologia a basso costo, avrebbe potuto costituire occasione di riscatto per i territori più svantaggiati, ma così non è stato.

Articolo pubblicato in: Guida agli Enti locali – Il Sole-24 Ore, n. 9, 8 marzo 2003

 

 

08 Marzo 2003

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