Imprese e innovazione

La provincia di Livorno tra innovazione e tradizione

Il sistema produttivo del territorio di Livorno, caratterizzato da debolezze strutturali ma anche elementi di forza, può aprirsi verso l’esterno attivando reti tra imprese con l’obiettivo di far circolare la conoscenza e le competenze per favorire la modernizzazione e l’innovazione.

di Francesco Estrafallaces

 

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Territorio non sempre facile da capire quello di Livorno, nei suoi continui micro-aggiustamenti e nell’accentuata diversità dal resto della Toscana. Ed è forse in questa voluta contraddittorietà interna, nell’atteggiamento a volte spinoso e nell’orgogliosa diversità, che è rinvenibile il senso stesso di questa comunità territoriale.

Quando in ampie parti della Toscana si costituivano i sistemi della micro-impresa organizzati secondo il modello dei distretti industriali, la provincia di Livorno cercava di costruire il proprio futuro sulla grande industria, e quando nel resto della regione iniziarono a proliferare sistemi produttivi flessibili, Livorno, Piombino, Rosignano (solo per citare i centri più importanti) puntarono su schemi più rigidi, quelli dell’industria pesante.

D’altra parte sono venuti meno, definitivamente, i tre pilastri sui quali per lungo tempo si è retta l’economia provinciale: il sistema delle Partecipazioni Statali, l’organizzazione portuale (in crisi dagli inizi degli anni ’80) e il pubblico impiego. Nel primo caso, lo smantellamento dell’industria a partecipazione pubblica non ha lasciato spazio ad una nuova ed efficiente riconfigurazione del tessuto industriale, nel secondo caso la navalmeccanica ed il suo bacino occupazionale hanno subito, nel tempo, un drastico ridimensionamento e, ancor oggi, è difficile capire quali potranno essere le evoluzioni di tale settore. Infine, il riassetto della pianta organica di molti pubblici Uffici si è accompagnato ad un netta contrazione del pubblico impiego, intaccando equilibri che per lungo tempo avevano sostenuto l’economia locale.

Il volto della provincia si è, dunque, inevitabilmente trasformato, fino a fare del territorio livornese una sorta di area a riconversione produttiva permanente, accentuandone le contraddizioni, ma lasciando emergere anche un’ostinata voglia di andare avanti, di crescere secondo un modello originale, in cui i nuovi possibili punti di forza sui quali costruire lo sviluppo stentano a mettersi chiaramente in evidenza.

Leggere il territorio nella sua complessità

Le trasformazioni continue, che a volte operano sottotraccia e che in altri momenti si palesano in modo eclatante, rendono difficile l’elaborazione di un’analisi univoca del sistema socio-economico della provincia di Livorno. Un primo punto di partenza per capire cosa succede oggi e come potrà essere il futuro consiste nell’individuazione degli elementi di debolezza e dei punti di forza dell’area provinciale nei suoi molteplici aspetti.

Gli elementi critici sono diversi e possono essere sintetizzati come segue:

  • il progressivo calo della popolazione residente, ridottasi, nell’arco degli ultimi 20 anni, di oltre il 3% a fronte del –0,8% registrato nel medesimo periodo in Toscana. Tra il 1995 e il 2001 la flessione del numero dei residenti nella provincia livornese è stata quasi del 6%, contro una media che in Toscana si è rivelata molto più contenuta, pari a -1,8%;
  • l’inesorabile invecchiamento della popolazione residente, che conta attualmente più di due persone anziane per ogni persona in giovane età, e l’incremento costante del tasso di dipendenza;
  • la presenza pervasiva del fenomeno della disoccupazione. Sebbene in progressiva diminuzione nel corso degli ultimi anni, il tasso di disoccupazione resta tra i più elevati dell’intera Toscana, pari attualmente al 6,1% a fronte di una media regionale del 4,8%;
  • la contenuta apertura del territorio alle esportazioni, che nel 2001 hanno raggiunto 967 milioni di euro, pari a 3.056 euro pro-capite, al penultimo posto tra le province della Toscana (che registra un export procapite di 6.449 euro);
  • un tessuto produttivo scarsamente coeso, che necessita di infittirsi e di rafforzarsi consistentemente in termini di apertura all’innovazione di processi e di prodotti, nonché in termini di politiche commerciali e di reti di collaborazione.

Se il territorio è andato accentuando negli ultimi anni talune debolezze strutturali, dall’altro lato non mancano notevoli elementi di forza quali:

  • l’apprezzabile andamento del Pil pro-capite, che nel 2000 si è attestato a 19.000 euro, al quarto posto tra le province della Toscana;
  • il ruolo portante esercitato dal sistema turistico. La provincia di Livorno registra infatti il più elevato livello di presenze legate al sistema balneare di tutta la Toscana;
  • l’elevato livello di specializzazione nel campo manifatturiero, dove la componentistica dell’auto, le lavorazioni chimiche e l’artigianato della nautica da diporto rappresentano, nonostante alcune difficoltà del momento, un importante bacino occupazionale, ma soprattutto una base industriale irrinunciabile sulla quale è possibile ancora oggi costruire il futuro economico della provincia (che non può poggiarsi solo sul terziario);
  • l’elevato livello di specializzazione nel campo dei servizi logistici, riguardanti la movimentazione di merci e il trasporto di persone, la provincia di Livorno ha acquisito, nel contesto dell’Alto Tirreno e soprattutto dell’intero Centro-Italia, il ruolo essenziale di snodo per il trasporto intermodale, grazie alla presenza di due porti commerciali (Livorno e Piombino), dell’interporto di Guasticce e grazie alla particolare posizione geografica;
  • il positivo allargamento della base produttiva, che conta attualmente più di 27.700 imprese attive, con una crescita, tra il 1997 e il 2002 del 27%. L’incremento è stato superiore a quanto registrato complessivamente in Toscana;
  • l’apprezzabile propensione delle imprese locali ai nuovi investimenti; come risulta dall’indagine diretta su un campione di 200 aziende, quasi la metà delle strutture produttive contattate ha incrementato nel corso degli ultimi 2 anni le spese per nuovi macchinari e attrezzature, mentre per il 45% esse sono rimaste stabili e solo per il 5% esse sono diminuite;
  • la propensione, di più della metà delle imprese a costituire reti di collaborazione operanti a livello locale, sia con le Istituzioni e i corpi intermedi della rappresentanza che con altre aziende.

Ma proprio la molteplicità di elementi negativi e positivi, cui si è appena fatto riferimento, induce a diverse considerazioni.
In primo luogo il sistema produttivo provinciale sembra avere accentuato – anziché ammorbidito nel corso del tempo – l’atteggiamento di chiusura o, quanto meno di timido approccio, al contesto esterno. La provincia di Livorno, pur essendo circondata da distretti industriali (quali Pontedera o Santa Croce sull’Arno solo per citare i più noti) non ha mai abbracciato e, soprattutto, mutuato dai territori vicini la “filosofia del distretto”, sebbene negli ultimi anni si stiano configurando fenomeni di aggregazione tra imprese nell’ambito di comparti non propriamente manifatturieri, come quello della viticoltura e quello vitivinicolo, che restano, tuttavia, casi piuttosto isolati.
Oggi si scontano, pertanto, gli effetti generati dalla presenza di un tessuto di micro-imprese locali parcellizzate e forse eccessivamente esposte alle crisi generate dai rapidi mutamenti del mercato. Non vi è (al contrario di ciò che accade nei distretti industriali tradizionali) nessuna vera forza aggregante e sono sempre mancati i fattori portanti del modello distrettuale, quali: l’integrazione verticale tra aziende di una medesima filiera produttiva, un fitto tessuto di servizi tecnici, bancari e logistici a supporto delle imprese industriali, l’accentuata propensione all’innovazione e il rapido scambio di informazioni tra gli imprenditori. Troppe imprese di un medesimo comparto (come quelle della componentistica dell’auto) affrontano in totale solitudine la complessità del sistema esterno, senza attivare strategie comuni o interventi finalizzati all’innalzamento della produttività (ad esempio: attraverso la formazione, attraverso programmi per una larga diffusione di sistemi di qualità o tramite iniziative per la costituzione di centri comuni di acquisto di forniture) e le poche iniziative oggi rinvenibili sono ancora in una fase di timido avvio. D’altra parte le reti tra imprese, pur rinvenibili a livello locale, non sono ancora considerate come leva strategica per lo sviluppo, come strumento che consente alle aziende di rafforzare la propria presenza su mercati caratterizzati da un elevato livello di competizione, come quello che devono affrontare ormai le aziende della componentistica, della nautica o della chimica.

C’è un secondo aspetto rilevante da considerare. Se da un lato il territorio provinciale registra positivi fenomeni di allargamento della base occupazionale, contemporaneamente il valore aggiunto e il PIL provinciale aumentano con relativa lentezza. Tutto lascia pensare a un inesorabile e pericoloso calo di produttività verso cui alcuni settori si avviano profilando, in uno scenario pessimistico, la perdita complessiva di competitività dell’intero sistema economico provinciale. Per evitare uno scivolamento verso il basso occorre agire subito e con strumenti efficaci, serrando i ranghi, diventando vera comunità coesa al proprio interno e aperta soprattutto all’esterno, attraverso:

  1. l’attivazione di funzioni aggreganti all’interno delle singole filiere di specializzazione, soprattutto quelle manifatturiere, al fine di creare vere ed estese reti di collaborazione tra imprese, che favoriscano la modernizzazione dei processi produttivi e una più ampia apertura all’innovazione tecnologica;
  2. un aperto confronto tra i soggetti attivi sul territorio (imprese e Associazioni di categoria) e le Istituzioni locali, le quali dovrebbero riconoscere che il sistema produttivo sta mutando e che il territorio ha necessità di un’incisiva azione di accompagnamento alla crescita.

Non esistono strumenti chiaramente definiti e, soprattutto, immediatamente disponibili per avviare una trasformazione così complessa e profonda. Se una delle priorità è di creare tra le imprese delle reti per incentivare la circolazione di conoscenze e per l’innalzamento dei livelli di crescita (culturale, della produttività e dei livelli qualitativi) un ruolo determinante di coagulo dovrà e potrà essere esercitato da Associazioni e Enti che operano direttamente sul territorio.

La giusta combinazione tra innovazione e tradizione

Vi è da chiedersi a questo punto su quali leve agire concretamente per garantire sviluppo duraturo all’economia locale. La risposta è nei molti segnali che il territorio continua a lanciare.
La crescita è insita nella riorganizzazione, nel riposizionamento, nell’innovazione di settori considerati tradizionali e di quelli sui quali maggiormente le forze locali intendono scommettere. Livorno poggia su sei differenti pilastri, tutti di eguale rilevanza, che possono costituire un formidabile potenziale di crescita per i prossimi anni e che possono essere elencati come segue, senza attribuire ad essi un ordine di importanza:

  • il comparto della componentistica dell’auto;
  • i settori maturi della chimica e della siderurgia;
  • il comparto della nautica;
  • il sistema della logistica;
  • il sistema agricolo e agrindustriale di qualità;
  • il sistema turistico-alberghiero.

Alcuni di questi settori vivono attualmente una delicata fase di passaggio, in bilico tra l’involuzione e la possibilità di un rinnovato sviluppo, mentre altri, come l’agrindustria di qualità e il vitivinicolo, si sono avviati verso un deciso percorso di crescita quantitativa e qualitativa. Per ciascuno dei comparti sopra citati sono definibili due differenti scenari. Il primo, cioè quello più critico, si potrebbe verificare nel caso in cui tutto dovesse restare esattamente così come è attualmente, in una sorta di equilibrio apparentemente stabile che renderebbe, nel lungo periodo, ciascun settore incapace di competere su mercati sempre più complessi e ampi. Il secondo scenario, viceversa, richiede di superare i vincoli rinvenibili in ciascun settore: dalla mancanza di un sistema locale della subfornitura nel comparto della componentistica auto alla carenza di aree per gli insediamenti produttivi della nautica, dalla frammentazione delle imprese agricole ad un sistema turistico che necessita di elevare gli standard qualitativi della propria offerta.

E’ come se le diverse componenti del sistema produttivo livornese dovessero essere smontate e riorganizzate dall’interno attraverso l’inserimento di elementi di innovazione nei processi produttivi ma, soprattutto, in quelli organizzativi, dando consistenza alle reti locali di collaborazione oggi eccessivamente focalizzate su tentativi di interventi per la commercializzazione dei prodotti e scarsamente finalizzate, invece, alla cooperazione per lo sviluppo di sistemi della subfornitura, per l’innovazione tecnologica o per lo scambio di informazioni.

Il problema, dunque, non consiste nel capire se determinati settori di più lunga tradizione o in una fase di maturità debbano o meno continuare ad esistere o se si debba lasciare maggiore spazio a comparti in fase di espansione, come il turismo. La questione e molto più complessa e articolata; è necessario che gli attori locali (pubblici e privati) siano disposti a definire con chiarezza, abbandonando molti indugi oggi imperanti, il modello di sviluppo che si vuole assicurare al territorio, scommettendo su tutti e sei i settori ai quali si è fatto riferimento.

Ognuno dovrebbe, pertanto, giocare la propria parte:

  • la classe imprenditoriale livornese, aprendo alle reti collaborative e investendo nei fattori di innovazione;
  • le Istituzioni e gli Enti operanti a livello locale, garantendo la costruzione di un habitat infrastrutturale (sistema dei servizi avanzati e sistema dei collegamenti e dei trasporti) e favorendo il dialogo che porti alla costituzione di reticoli sul territorio, di reti di subfornitura e di indotti del manifatturiero, che possono avere un effetto moltiplicativo in termini di crescita dell’occupazione e del valore delle singole aziende.

Le reti di impresa che creano valore

Un ultimo aspetto, che vale la pena di analizzare per comprendere la geo-comunità livornese, riguarda i meccanismi di cooperazione tra i diversi soggetti che animano il territorio. Il presupposto concettuale è che, in un contesto economico e produttivo sempre più articolato e globalizzato, le reti di collaborazione e di scambio di informazioni possono essere uno strumento per affrontare la complessità e per costruire un nuovo percorso di crescita.

Il modello dell’impresa a rete può funzionare in un contesto produttivo fortemente parcellizzato, spesso caratterizzato dall’orgoglioso individualismo degli imprenditori, come quello della provincia di Livorno?

Si è già messo in evidenza come il contesto livornese non registri alcuna esperienza in termini di distretti produttivi di tipo classico, fondati sull’elevato livello di specializzazione di un’area territoriale ben circoscritta, su un consistente gruppo di famiglie di imprese operanti lungo una medesima filiera, sul ruolo guida esercitato da un’impresa capofila. Ciò non di meno il sistema produttivo provinciale sembra assumere, quasi inconsapevolmente, una fisionomia particolare, fondata su aggregazioni più labili e meno strutturate dei distretti industriali, ma non per questo meno efficaci. I cluster produttivi, nei quali sono rinvenibili piccole o grandi forme di interscambio di informazioni e di collaborazioni interaziendali o di cooperazione tra imprese e Istituzioni locali, sono già oggi una realtà nella provincia di Livorno, forse ancora poco visibile, ma sulla quale è possibile lavorare.

Il primo dato che colpisce favorevolmente è che più della metà di un campione di 200 imprese operanti nella provincia di Livorno ha effettuato nel corso degli ultimi tre anni almeno un’esperienza di collaborazione con altre aziende o soggetti intermedi operanti sul territorio livornese. Se tuttavia si guarda più nel dettaglio ai dati disponibili ci si rende conto di come la partecipazione alle singole modalità di collaborazione risulti piuttosto contenuta.

Le forme di interrelazione più diffuse si svolgono:

  • tra imprese e Amministrazioni locali, così come indicato dal 22,8% degli intervistati;
  • tra due o più aziende di un medesimo comparto produttivo o di comparti diversi (21,5% del campione);
  • tra le imprese e i fornitori (20,6%);
  • all’interno di un consorzio interaziendale (19,4%).

Un ruolo decisamente più limitato sembrano esercitare le così dette imprese leader (cioè quelle alle quali viene riconosciuta una particolare capacità di innovazione e di coagulo degli interessi collettivi), le collaborazioni con queste ultime sono state indicate da appena il 10,8% degli imprenditori intervistati e, ancora meno pregnanti appaiono le iniziative promosse dal Polo Scientifico e Tecnologico di Livorno, cui fa riferimento solo il 3,6% del campione.

Ma quali sono le finalità delle reti di collaborazione e di interscambio?
E’ questo l’aspetto che forse con maggiore chiarezza lascia emergere il carattere piuttosto labile di gran parte dei legami ai quali finora si è fatto riferimento. Nella maggior parte dei casi, le strutture reticolari che in vario modo vengono costituite hanno come finalità la partecipazione a fiere e la commercializzazione dei prodotti sui mercati, specie quelli esteri; queste attività sono state indicate dal 38,7% di coloro che hanno dichiarato di aderire a forme di collaborazione. Molto scarsa è però la propensione ad attivare delle reti finalizzate all’internazionalizzazione, cioè ad una presenza permanete (attraverso reti commerciali, sedi di rappresentanza e agenti) all’estero. Da un punto di vista generale sembra che si condividano gli sforzi soprattutto per migliorare gli aspetti commerciali e la presenza sui mercati, mentre minore attenzione sembra essere prestata a elementi più strategici, di circolazione delle conoscenze e delle competenze per la modernizzazione e l’innovazione, ad esempio dei processi produttivi.

E’ interessante rilevare, comunque, come per il 36,6% delle imprese contattate (una delle percentuali più elevate) le reti di collaborazione sono un veicolo attraverso cui fare circolare informazioni di tipo tecnico (ad esempio, informazioni sul funzionamento di nuovi macchinari o informazioni su possibilità di nuovi investimenti). Su tale fenomeno occorrerebbe fare una doppia considerazione: da un lato è evidente come le organizzazioni reticolari fungano da importante fattore di circolazione delle idee e delle informazioni tra gli imprenditori, diventando implicitamente veicoli di apprendimento. Dall’altro lato, tuttavia, sembra che le forme più diffuse di collaborazione si fermino ad un primo stadio di circolazione delle informazioni, dando luogo più raramente ad azioni concrete di messa in comune degli investimenti o di collaborazione sui mercati ovvero di messa in comune di servizi a supporto alle singole imprese.

I dati appena richiamati assumono grande rilievo poiché mettono in evidenza come il modello dell’impresa a rete risulta sempre e comunque un fattore di accrescimento del valore delle singole aziende, sotto forme diverse: dal miglioramento delle competenze che incidono sulla maggiore efficienza dei processi produttivi e gestionali all’innovazione dei processi interni. Per questi motivi i sistemi delle reti a livello locale dovrebbero essere sempre più valorizzati, incentivati e sostenuti, anche attraverso l’accompagnamento esercitato da soggetti intermedi (associazioni o autonomie funzionali). Certo, a tale proposito occorre anche rilevare come ben il 13,3% degli imprenditori contattati abbia affermato che nelle esperienze di cooperazione effettuate sia mancato il supporto di soggetti pubblici locali.

La ricerca è stata realizzata per conto della Camera di Commercio di Livorno da Francesco Estrafallaces e Daniele De Blasio della Fondazione Censis.

 

 

12 Marzo 2005

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