Il declino demografico mette a rischio il patrimonio Italia

di Giuseppe Roma

Il governo Draghi rimise in piedi il Ministero del Turismo, quello Meloni ha aggiunto alle Pari opportunità anche la famiglia e la natalità, segnalando la necessità di più incisive politiche pubbliche per attenuare il grave declino demografico di cui soffre l’Italia più degli altri grandi paesi europei. Bisogna certo fare il massimo per sostenere la scelta di fare figli, rimuovere il più possibile le barriere pratiche che oggi costituiscono un disincentivo alla procreazione. Ma probabilmente riusciremo solo a rallentare una tendenza che purtroppo appare inarrestabile. A offrire una lettura originale e di grande interesse è stato il presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo all’annuale forum “Welfare Italia” promosso da Unipol. Infatti, ha affermato Blangiardo, anche se riuscissimo a portare il numero di figli per donna dall’attuale 1,25 a 2, come in Francia, avremmo comunque meno nati di quelli del 2008, perché sono diminuite le donne della fascia d’età in cui è possibile diventare mamma. Ma l’analisi del presidente dell’Istat si fa ancora più precisa nell’identificare le conseguenze del calo demografico. Innanzitutto, stiamo depauperando il “patrimonio demografico” del paese che è parte della stessa affidabilità nazionale.
 
Cos’è il patrimonio demografico? Tutti quelli che oggi, ad esempio, hanno 25 anni dispongono mediamente davanti a sé poco più di 56 anni di vita; l’intera classe d’età dei ventiquattrenni assomma un periodo di vita futuro pari a 17,5 milioni di anni. L’Istat ha calcolato il valore relativo all’intera popolazione italiana che al 2022 corrisponde a 2.268 milioni di anni. E’ lo stock di vitalità del paese che però fra trent’anni nel 2052 si ridurrà del 18% scendendo a 1.856 milioni di anni. Un fattore che influenza la stessa solidità dell’Italia. Basti pensare a un mutuo edilizio che viene concesso più facilmente a un cinquantenne che a un ottantenne. Ma, oltre all’effetto sulla solvibilità del paese, il presidente Blangiardo ha offerto un altro elemento interessante che riguarda la fiducia nel futuro. Nel 1951 la grande spinta verso la ricostruzione è stata certo guidata dalle speranze e dalla fiducia nel futuro. Ebbene, allora l’età media della popolazione italiana era di 32,5 anni e gli anni di vita attesi erano molto di più e cioè 41,5. Oggi, a fronte di un’età media di 46,7 anni si valuta abbia che ogni italiano abbia in media ulteriori 38,4 anni da vivere. Allora le prospettive superavano il già vissuto, oggi è il contrario: la sensazione comune è che abbiamo più passato che futuro. Sono considerazioni utilissime a formulare nuove strategie per arginare il declino demografico che, come si deduce da questi ragionamenti, per aver successo hanno davvero bisogno di un impegno corale e di interventi su molteplici piani.

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