Sulla casa green un confronto di pancia, ma è l’occasione per innovare le città

di Giuseppe Roma

C’è grande confusione sotto il tetto, soprattutto della politica. Ci ritroviamo, ancora una volta, ad affrontare questioni molto serie, come quelle sulla casa, più con la pancia che con la testa. E’, infatti, scattato il segnale d’allarme per la revisione della direttiva europea sull’efficienza energetica degli immobili, solo quando ci si è accorti del rilevante impatto sul consenso elettorale. La modifica in discussione viene da lontano. Il processo normativo fu avviato nel 2010 con la direttiva “Energy Performance of Building” rivista dal Parlamento Europeo nel maggio 2018 e poi nel 2021. Sono atti di cui condividiamo la responsabilità e che impegnano gli Stati membri nel promuovere il rinnovo del patrimonio edilizio pubblico e privato che contribuisce per il 36% all’effetto serra e determina il 40% dei consumi energetici totali. Ovvero incide su due questioni strategiche per l’Europa: clima e dipendenza energetica.

La consapevolezza degli impatti economici e sociali ha comportato un avanzamento graduale delle normative per il previsto raggiungimento degli obiettivi finali nel 2050, con tappe intermedie nel 2030 e nel 2040. Gli Stati membri si sono impegnati già cinque anni fa a predisporre Piani d’intervento e, più di recente, a installare impianti fotovoltaici sui tetti degli edifici pubblici, a realizzare entro il 2026 tutte le nuove costruzioni pubbliche a emissioni zero, e nel 2028 anche i nuovi fabbricati privati. Per gli edifici esistenti, un primo miglioramento è previsto, dalle modifiche in discussione, nel 2030 con garanzie di maggiore elasticità per il patrimonio storico, le abitazioni unifamiliari, gli edifici produttivi e altro. Non si può disconoscere che le implicazioni di questo piano europeo siano molto serie sotto il profilo sociale, dell’economia complessiva e del mercato immobiliare.

Ma è singolare considerarlo un attacco alla proprietà della casa, piuttosto che uno strumento, sia pure complesso, ma di miglioramento e di risparmio a fronte dei crescenti costi dell’elettricità e del riscaldamento. Sulle ragioni di fondo della sostenibilità energetica non possono, poi, esserci argomenti contrari in un paese che ha goduto di un superbonus 110% costato finora 64 miliardi di soldi pubblici, oltre a molteplici ulteriori incentivi, in gran parte ancora operativi. Questo scossone ci può anche aiutare a una più ampia rigenerazione delle nostre città, congelate nel riuso diffuso del patrimonio senza alcuna innovazione. Per avere un’idea, nel 2021 si sono vendute circa 750 mila abitazioni e costruiti o ristrutturati ex novo solo 60 mila alloggi. Forse è l’occasione per pensare a un rinnovo del patrimonio nelle aree esistenti con eco quartieri a zero emissioni e zero consumo di nuovo suolo. Sarebbe un ciclo virtuoso per l’edilizia e il real estate.

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