Scalfari e la nuova oralità, il peso delle parole che si sostituiscono alle scelte e ai fatti

di Giuseppe Roma.

Protagonista di un insolito gioco su “chi butteresti giù dalla torre” Eugenio Scalfari ha scatenato il dibattito politico nazionale. Con due parole “sceglierei Berlusconi” (invece del grillino Di Maio) si è trovato al centro della scena, nei talk show televisivi e in numerosi editoriali, compreso il suo. Le parole, amplificate dai media, hanno nel nostro paese una forza superiore a quanto avviene nel resto d’Europa. Siamo certo eredi della tradizione socratica e dobbiamo dare il giusto spazio a una cultura basata sul dialogo orale. Ma forse stiamo esagerando.

Dal punto di vista comunicativo funziona l’opinione in controtendenza. Scalfari resta un “grande vecchio” con indiscutibile prestigio intellettuale, e di impegno politico e civile. Il suo giornale è stato il più impegnato watchdog contro Berlusconi. Tanto basta per fare di due parole una notizia da prima pagina. Ma non basta. Le congetture che seguono sono anch’esse tipicamente italiane. Ha voluto rovinare la festa dell’attuale direttore della rinnovata Repubblica. No, al contrario, ha voluto dare visibilità al rilancio del suo giornale. E così via con tante altre parole. Ma questo primato delle parole, questo attaccamento a una nuova oralità, è il sintomo di un paese che preferisce la narrazione alle scelte e i fatti da narrare.

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