L’eterno ritorno del regionalismo differenziale … può far male all’Italia

di Giuseppe Roma.
L’autonomia regionale cerca spazio nell’agenda politica del prossimo governo con poche possibilità di successo. La Lega, dopo la sconfitta proprio al Nord dove è nata, cerca un riscatto tornando sui suoi passi come paladina della Padania. Rafforzare il regionalismo continua a rappresentare un interesse di parte, elettoralistico e di potere, più che uno strumento per rendere più efficiente la macchina pubblica.
Tutto nasce da un disperato tentativo del centro-sinistra di fermare l’ondata montante del leghismo poco prima delle elezioni del 2001, che portò a modificare la Costituzione dando la possibilità di introdurre “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” per le Regioni a statuto ordinario. Tanto repentina e improvvida fu la mossa del centro-sinistra, quanto debole l’azione del centro-destra nel concretizzare successivamente il disegno federalista. Molte Indagini conoscitive, audizioni, Commissioni parlamentari, pure per l’attuazione del federalismo fiscale, ma niente di più concreto fino al 2017 quando Lombardia, Veneto e poi anche Emilia- Romagna chiesero formalmente di aprire la negoziazione sulle materie da trasferire, le prime due appoggiando la richiesta con un referendum consultivo. Si arriva così agli accordi preliminari del 2018 che riguardano materie come l’ambiente, la salute, l’istruzione, la tutela del lavoro, i rapporti internazionali e con UE. La Lombardia ci aggiunge pure il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Col nuovo governo giallo-verde altre Regioni avanzano la richiesta di autonomia: Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Campania. In pratica rimarrebbero solo 6 Regioni su 21 a mantenere le competenze ordinarie (Lazio Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria). Inoltre, nel 2019 si subordina la cessione di ulteriori poteri verso le regioni alla definizione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione) per garantire una perequazione territoriale nella disponibilità di servizi pubblici come previsto dalla Costituzione.
Una storia lunga 21 anni che non sembra utile riaprire in un momento difficile, come l’attuale, in cui, per far fronte a questioni come le pandemie, il lavoro, il caro vita, l’energia, il clima, appare insufficiente la dimensione nazionale figuriamoci quella regionale. E poi differenziare i poteri praticamente fra tutte le regioni trasformerebbe il già caotico quadro regolativo, in un’entropia regolativa tale da bloccare definitivamente la vita economica e sociale del Paese. E tutto perché la Lega ha perso le elezioni.

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