La volatilità delle regole che non fa ripartire l’economia urbana

di Giuseppe Roma.

L’ha detto esplicitamente Gabriele Buia, neo presidente dei costruttori italiani: l’edilizia è poco interessata ai voucher, ma vorrebbe si rispettassero gl’impegni di legge sugli investimenti e sui pagamenti della pubblica amministrazione. Per un settore che, nella crisi, ha perso centomila imprese e seicentomila occupati non è affermazione da poco. A chiudere sono state, Infatti, le imprese di dimensioni medie che gestiscono un processo produttivo strutturato e che sono colpite soprattutto dalla forte riduzione del mercato economicamente più rilevante, come quello delle nuove costruzioni, delle infrastrutture, della messa in sicurezza di immobili e territorio. Nei nove anni della crisi è cresciuta solo la piccola manutenzione di appartamenti, le ristrutturazioni dei singoli alloggi, gli interventi minuti dove rischia di inserirsi il lavoro nero.

In un paese che è sempre pronto ad agitare il pericolo della “cementificazione” sono stati autorizzati, nel 2015, appena 47.500 alloggi di nuova costruzione o di riqualificazione, meno che nel 1935. Una quota del tutto marginale rispetto a quanto è stato compra venduto nello stesso anno, a dimostrazione del fatto che l’immobiliare legato al bene-casa ha perso ogni contatto col mondo produttivo. In definitiva, emerge una buona disponibilità delle imprese a innovare profondamente le strategie in termini di trasparenza, regolarità dei rapporti di lavoro, di riduzione del consumo di suolo attraverso la rottamazione degli edifici degradati, di contenimento dei consumi energetici e di messa in sicurezza delle strutture. Ma il quadro normativo è mutevole e incerto; ogni anno si riinizia da capo; ogni Regione si da leggi e procedure diverse; il contenzioso non ha mai fine. Un quadro che certo non premia i costruttori più seri, ma alimenta un’economia familistica e di operatori improvvisati.

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