La folle capitale dietro la rivolta kazaka

di Giuseppe Roma
Notizie e immagini provenienti dal Kazakistan hanno la drammatica impronta di una rivolta contro un dittatore che, in prosecuzione con il vecchio regime sovietico, ha esercitato, per più di tre decenni un potere assoluto con tracotanza e narcisistica presunzione. Per intenderci, questo autocrate e la sua famiglia sono paragonabili ai Ceausescu ma con ambizioni e risorse nazionali infinitamente superiori a quelle del defunto despota rumeno. Lasciando ai politologi ed esperti internazionali ragioni e conseguenze di questa crisi, bastano poche note di viaggio da quella repubblica caucasica, per riconoscere le radici profonde dell’attuale sanguinoso scontro sociale. Appena tre anni fa, nel 2019, Nursultan Nazarhayev, presidente kazako dal 1991, dimettendosi da quella carica ma mantenendo a vita il controllo del consiglio di sicurezza e del partito, pensò bene di dare alla città capitale il suo nome. E così Astana divenne Nur-Sultan. D’altronde la capitale nel 1997 l’aveva spostata proprio lui nel bel mezzo della steppa da Almaty ad Astana, con un grandioso programma urbanistico, da far impallidire quello mussoliniano. Il povero urbanista giapponese che stilò il primo master plan e le grandi firme dell’architettura che hanno partecipato all’edificazione della nuova capitale, hanno dovuto sottostare alle esigenze rappresentative dettate dal desiderio di gloria del dittatore. Ne è venuta fuori una specie di Disneyland con affastellati i più disparati simboli universali come piramidi, esedre, obelischi, archi di trionfo, templi greci, moschee, cattedrali, chiese ortodosse. Una città-capitale del kitsch dove non manca anche un centro della pace universale e una Concert Hall progettata da un architetto italiano a forma di gigantesco fiore di ferro e cemento.

Il fulcro della città è organizzato attorno a un grande boulevard che ricorda il National Mall di Washington. A un estremo c’è la residenza presidenziale, molto simile alla Casa Bianca e dall’altro capo un gigantesco complesso commerciale e per lo svago di 140.000 mq. sotto una tenda in plastica trasparente (la più grande del mondo) disegnata da Norman Foster. E’ sua anche la torre Balterek, una struttura dalla forma simile al trofeo dei mondiali di calcio, ma alta 97 metri. Culmina con una sfera panoramica che rinchiude una vera e propria “reliquia” del dittatore. Su una specie di leggio in bronzo c’è il calco delle mani di Nazarhayev, da far combaciare con quelle dei visitatori per l’immancabile selfie. Puntare sul culto personale è tipico dei dittatori, e ogni leader di rilievo ha la debolezza di voler consegnare alla storia qualche opera architettonica con il proprio nome. In Kazakistan si è andati molto oltre in un intreccio di potere, affari, arroganza e narcisismo, reso ben visibile dalla forma della sua capitale. L’esplosione di rabbia popolare ha anche queste radici.

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