“Ecco quello che l’Europa non ha fatto per la ricerca”, editoriale di Giuseppe Roma su Messaggero di lunedi 15 marzo

Un’Europa, che solo poco tempo fa appariva sbiadita e divisa, sembra ora avviata verso nuovi orizzonti, consapevole che, per debellare la pandemia, è opportuno operare rapidi e significativi cambiamenti. Il clima era già mutato superando le politiche di austerità per far fronte a una prolungata recessione, che proprio quelle regole restrittive avevano contribuito a determinare. Con l’impellente necessità di procedere a una massiva vaccinazione emerge con chiarezza un ulteriore, e forse più grave, limite dell’Unione Europea e cioè la scarsa forza d’urto nelle alte tecnologie, specie quelle che più incidono sulla vita dei cittadini come le bio-scienze. Se, infatti, gli Stanti Uniti e il Regno Unito hanno potuto accelerare nella vaccinazione ciò è dovuto alla disponibilità di fiale fornite da grandi aziende farmaceutiche della stessa nazionalità. Il risultato concreto parla da solo: 25% degli americani e il 32% degli inglesi resi attualmente immuni, tre volte di più dei cittadini dell’Unione Europea. L’ esistenza di queste grandi aziende deriva da due principali fattori. Un consolidato rapporto fra pubblica amministrazione e imprese tipico del mondo anglo-sassone, e la capacità di aggregazione per creare colossi industriali dotati di risorse e grandi capacità operative. Ed è su questi due punti che si misurerà la reazione positiva dell’Unione Europea. Negli Stati Uniti opera da tempo, nel campo delle contromisure mediche contro minacce biologiche e pandemie un’agenzia federale denominata Barda, che lo scorso anno ha dato vita a uno specifico programma “Warp Speed” di sostegno alle aziende farmaceutiche per arrivare nei tempi più rapidi a individuare il vaccino anti-Covid 19. Oltre a massicci finanziamenti per la ricerca (18 miliardi di dollari rispetto ai 2,7 europei) Barda ha organizzato i volontari per la sperimentazione e prestato la necessaria assistenza per ottenere le autorizzazioni e promuovere le più estese reti produttive. Un esempio che ora vuole seguire anche la Commissione Europea. Lo scorso 17 febbraio, infatti, a Bruxelles si è deciso di creare un’apposita agenzia per risponder alle emergenze sanitarie denominata Hera (European Health Emergency Preparedness and Response Authority) puntando a fare da ponte fra scienza, industria e autorità pubbliche, sviluppare ricerca e brevetti, migliorare la capacità produttiva europea nel campo dei vaccini, studiare nell’immediato nuove varianti di Covid-19 e realizzare, a regime, un sistema strutturato europeo per anticipare e affrontare le pandemie. Vista l’autorevolezza e il ruolo che proprio sulla produzione di vaccini ha assunto il presidente Draghi, la sede di questa importante struttura potrebbe essere proprio l’Italia, anche per compensare lo scippo subito da Milano a favore di Amsterdam come sede dell’altro importante autorità europea di regolazione sanitaria (Ema). Non certo per campanilismo, ma Roma e Lazio potrebbero prestarsi bene ad accogliere una tale struttura potendo unire la presenza di molti siti produttivi che ne fanno la prima regione italiana per export farmaceutico, con quella di istituzioni d’eccellenza come l’ Istituto Superiore di Sanità e l’Istituto Nazionale di Malattie Infettive Spallanzani.
Ma è indispensabile cambiare passo anche sui presidi imprenditoriali europei in grado di competere alla scala globale. Proprio in questi giorni si è concluso un lungo braccio di ferro fra UE e USA sull’imposizione di dazi che opponevano l’americana Boeing all’europea Airbus nella produzione e vendita di aerei per l’aviazione commerciale . In questo settore l’Europa si è dimostrata in grado di competere alla scala mondiale, grazie alla collaborazione di vari produttori. E’ quanto si sta cercando di promuovere anche in campo farmaceutico. Realizzare un consorzio europeo che riunisca le eccellenze esistenti attraverso una convergenza d’intenti e un’appropriata organizzazione, consentirebbe un salto di scala all’intero sistema industriale continentale.Un metodo da applicare anche ad altri settori strategici come le piattaforme digitali o l’intelligenza artificiale. Qui è necessaria un’altra importante svolta. L’Unione Europea ha fin qui vigilato soprattutto sulla concorrenza interna, fra imprese ma soprattutto fra nazioni, con l’obiettivo di favorire il consumatore, ma nei fatti ostacolando la crescita imprenditoriale. L’esperienza che stiamo vivendo sui vaccini suggerisce la necessità di renderci autonomi su alcune produzioni strategiche, anche per accrescere le opportunità di lavoro ed evitare di essere considerati solo un ricco mercato da colonizzare. La scala della competizione vede oggi tre grandi blocchi che valgono circa il 60% del pil mondiale: gli Stati Uniti con una produzione pari a 21 mila miliardi di dollari, l’Unione Europea con 16 mila e la Cina con 14 mila. Ma mentre Cina e Usa importano beni e servizi rispettivamente per il 17/% e il 15% del pil, l’import della UE vale il 44% del prodotto. Quindi, più collaborazione fra paesi e consorzio europeo d’ imprese per la ricerca e produzione di vaccini, nella prospettiva di rendere l’Europa parte attiva dei progressi che già si intravedono nel prossimo futuro.

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