Innovazione nel nordest

Nuove soggettualità e nuovi modelli per riavviare la crescita

Il settore delle nuove tecnologie e il nordest produttivo sono entrambi alla ricerca di risposte e di nuovi modelli di riferimento per superare difficoltà congiunturali e delineare strategie future. Si fa forte la necessità di elaborare una visione chiara coerente e credibile della direzione da impartire al processo di innovazione e sviluppo.

 

di Gianni Dominici

 

 

Ragionare e discutere, oggi, sui temi delle nuove tecnologie e del nordest può sembrare superato, nel momento in cui forti difficoltà investono sia il settore tecnologico che il mondo dell’economia e della produzione. Eppure è proprio in questi momenti che il pensiero dovrebbe essere più lucido e la discussione più pacata così da permettere di individuare possibili scenari. Sia il settore delle tecnologie che il territorio del nordest stanno vivendo, infatti, la fine di un ciclo e sono alla ricerca non solo di risposte per fronteggiare la congiuntura negativa in atto, ma anche di nuovi modelli a cui riferirsi per orientare le strategie future. Inoltre, solo grazie alla sintesi di queste due culture di riferimento – una immateriale, l’altra fisica, metalmeccanica una tipicamente metropolitana, l’altra più territoriale, provinciale; una peculiarmente reticolare per cui nella rete si valorizzano le relazioni e le interdipendenze, l’altra propriamente individualistica che considera la rete come semplice sommatoria di specificità – che il paese può trovare un proprio modello di produzione e di diffusione dell’innovazione.

Le difficoltà del settore delle tecnologie sono note. Secondo gli ultimi dati Assinform, relativi al primo semestre 2003, il mercato delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione registra complessivamente una crescita, rispetto al primo semestre dello scorso anno, dello 0,6%. Una tendenza complessiva debolmente positiva sostenuta esclusivamente dagli andamenti del settore delle telecomunicazioni che può vantare uno sviluppo del 3,2%, al contrario dei prodotti e dei servizi informatici che accusano una perdita del -4,4%.

Ma i problemi vanno oltre i dati di mercato e si percepiscono analizzando i comportamenti delle aziende e delle famiglie, osservando le iniziative e gli atteggiamenti degli operatori di settore.
Nell’anno ancora in corso, gran parte degli eventi fieristici di settore sono stati annullati. Lo SMAU, la più grande esposizione italiana nonché una tra le più grandi a livello mondiale, è apparsa ai suoi visitatori, i primi giorni di ottobre, spoglia di espositori e di idee. In crisi non è solo un mercato, ma i modelli, le idee e i progetti che dovrebbero alimentarlo.

Negli ultimi anni, in nome della new economy, si sono creati dei feticci a cui sono state attribuite proprietà salvifiche ma che poi, in verità, hanno creato attese sproporzionate in confronto alle potenzialità reali che il settore poteva esprimere. Si è creduto che nel business di internet bisognasse esserci, a tutti i costi, indipendentemente dai piani industriali e dalla reale concretezza dell’idea, collezionando, così, fallimenti e insuccessi. Si è creduto, anche, che l’opportunità digitale fosse per tutti, che potesse anche essere una occasione di riscatto per quei territori e quelle categorie sociali svantaggiati. In verità, anche questo assioma si è rilevato, con il tempo, sbagliato. L’articolazione della domanda e dell’offerta ha messo, invece, in evidenza il rischio di digital divide, cioè di esclusione sociale generata dalla diffusione delle nuove tecnologie. Si è creduto, infine, che l’offerta di infrastrutture avanzate fosse in grado di generare automaticamente un’offerta di servizi e di prodotti che a sua volta avrebbe favorito lo sviluppo di una domanda, da parte delle aziende e delle famiglie, di beni e servizi avanzati. La realtà dell’UMTS che ha drenato molte delle risorse dei nostri operatori telematici e di molti investimenti infrastrutturali sottoutilizzati hanno dimostrato che l’equazione, maggiore offerta uguale maggiore domanda, non è per niente risolta.

Le difficoltà, quindi, non sono solo di natura economica e finanziaria, ma discendono da un ritardo nell’elaborare una visione chiara, coerente e, soprattutto, credibile della direzione da intraprendere per alimentare il processo di innovazione e di sviluppo. Non è un caso che a distanza di poche settimane, nel corso di questo 2003, diversi soggetti, istituzionali e associativi, si siano fatti promotori di documenti ed indirizzi strategici nel campo dell’innovazione e del cambiamento tecnologico. I ministri Mazzella e Stanca hanno presentato il loro Piano per l’innovazione digitale delle imprese, la Federcomin (Federazione nazionale di settore di Confindustria che rappresenta le imprese di telecomunicazioni, radiotelevsione e informatica) ha fortemente promosso il suo Piano di Innovazione Digitale, mentre lo Smau ha proposto e raccolto significative adesioni per il suo Manifesto per l’innovazione.

Se il processo di modernizzazione tecnologica registra la fine di un ciclo ed è alla ricerca di un modello di sviluppo, analoghe considerazioni possono essere fatte per il territorio del nordest. Le difficoltà dell’area, infatti, non discendono semplicemente dalla metabolizzazione delle dinamiche mondiali in corso, ma anche da processi strutturali che implicano la messa in discussione del modello di sviluppo fino ad oggi preminente. Per quanto riguarda il territorio del nordest non emerge, dai documenti di ricerca presi in esame, una specificità in merito alla diffusione delle nuove tecnologie. Le imprese e i distretti del nordest sono usciti quasi del tutto illesi dallo sgonfiamento della bolla della new economy avendo sempre mantenuto un approccio distaccato e laico nei confronti delle speculazioni passate. Un distacco e uno scetticismo che però rimane tuttora, quando invece, dall’intreccio tra nuova e vecchia economia potrebbero nascere nuove occasioni di sviluppo e di competitività.

I dati presi in esame nel testo descrivono la diffusione e l’atteggiamento nei confronti dell’ICT nei diversi sottosettori: le imprese, i distretti, la pubblica amministrazione e le famiglie. Vi si evidenzia una generale propensione positiva nei confronti delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ma senza che queste siano state usate per elaborare nuovi comportamenti o per ridefinire le strutture organizzative aziendali e territoriali.

Le imprese del nordest utilizzano internet e le nuove tecnologie in una logica di primo livello, innovando e rinnovando la dotazione aziendale e i processi produttivi, ma senza avventurarsi in soluzioni più avanzate che risponderebbero ad una logica di networking. La condivisione delle informazioni e delle competenze con le altre aziende del territorio, iniziative che permetterebbero di riprodurre il capitale umano normalmente concentrato nelle imprese famigliari, spaventa gli imprenditori che hanno paura di perdere autonomia e competitività. La crisi economica sembra aver esasperato questo atteggiamento portando gli imprenditori, piuttosto che a mettere a punto iniziative di collaborazione, a rinserrarsi in azienda con un atteggiamento difensivo e sospettoso. Anche laddove si sono avviati processi di delocalizzazione, le nuove tecnologie vengono utilizzate per comunicare fra le diverse sedi ma non per riorganizzare l’azienda in una forma reticolare e collaborativa.

Analoghe considerazioni si possono fare se si guarda alle aziende in una logica distrettuale. All’interno dei distretti, raramente le nuove tecnologie sono state utilizzate per fare sistema, per connettere le imprese tra loro e tra loro e il sistema internazionale. Eppure, nella logica di internalizzazione, le reti di imprese permetterebbero alle piccole realtà di andare oltre la propria dimensione e di assumere un ruolo anche all’estero. Salvo alcune esperienze, anche di rilievo, all’interno dei distretti, anche di quelli più consolidati, le strategie comuni di sviluppo delle tecnologie di rete sono davvero poche.

Un ruolo nuovo lo stanno invece assumendo le pubbliche amministrazioni, e quelle del nordest si evidenziano fra quelle maggiormente attive. Il piano di digitalizzazione delle istituzioni locali è oramai un processo avviato da diversi anni, che ha trovato le pubbliche amministrazioni disponibili in una prospettiva di riscatto dai vincoli burocratici. L’Italia dei comuni (anche piccoli), delle province e delle regioni si è fatta, in gran parte del paese, promotrice di un utilizzo avanzato di internet in una logica di comunicazione istituzionale e di servizio ai cittadini e alle imprese. I diversi enti locali del nordest hanno guadagnato una buona posizione, secondo le valutazioni della RUR, per i servizi offerti on line anche se, anche in questo caso, la lacuna maggiore si riscontra nella mancanza di iniziative di animazione del territorio e di coinvolgimento degli attori locali. Il networking territoriale viene anche in questo caso tradito in nome di un processo di digitalizzazione orientato a soddisfare i bisogni primari di efficienza, di trasparenza e di qualità dei servizi in grado di portare le nostre pubbliche amministrazioni ai livelli europei di riferimento.

L’atteggiamento contraddittorio nei confronti dell’innovazione è riscontrabile, infine, anche in merito alla domanda delle famiglie. Le famiglie del triveneto sono i più grandi consumatori di tecnologia: prime, in Italia, per presenza di videoregistratori in famiglia, di videodischi e lettori di Cd Rom ma, soprattutto, prime in quanto a diffusione di personal computer. Se poi, però, si prende in considerazione un altro indicatore, quello relativo alla diffusione delle carte di credito, risulta evidente che la fiducia verso il nuovo, specialmente quando implica l’adozione di nuovi comportamenti e abitudini, risulta limitata.

In quale contesto si esplica questo atteggiamento difensivo nei confronti della tecnologia? L’introduzione dell’euro ha determinato la fine di un approccio teso a recuperare competitività tramite la svalutazione della moneta. Il declino demografico continua ad erodere la forza lavoro futura, per cui fra due decenni sarà impossibile assicurare il ricambio generazionale. La dotazione infrastrutturale rimane carente su un territorio saturo che non è più in grado di offrire ospitalità a nuovi insediamenti. La concorrenza mondiale, sempre più serrata, impone una presenza ed un ruolo a livello internazionale.

Nell’area nordestina, le reazioni a questi processi sono visibili e, in parte, già avviate: i flussi migratori sono consistenti e in grado, almeno in parte, di rispondere alla domanda di lavoro; il capitale individuale, una volta particolarmente carente, è in grado di essere incrementato da una diffusa e crescente attenzione nei confronti dell’istruzione dei più giovani; le nuove tecnologie potrebbero favorire la diffusione di una logica relazionale e aiutare a connettere le imprese all’interno del distretto e tra questo e i circuiti internazionali.

Affinché ciò avvenga è necessario individuare quali soggetti potranno essere i nuovi driver dello sviluppo in grado di sollecitare la piccola e media impresa, flessibile per definizione, che ha però dimostrato di non essere in grado di mettersi in discussione, di accettare il rischio di una riorganizzazione. Significa guardare alla grande impresa leader che è l’unica, attualmente, ad utilizzare le tecnologie di rete per alimentare un nuovo sistema relazionale, nella consapevolezza che un uso condiviso della conoscenza può accrescere la competitività su base distrettuale, e rafforzare la specializzazione territoriale di ciascuna economia locale. Così facendo la grande impresa contagia il tessuto imprenditoriale di riferimento, determinando le scelte di adozione delle tecnologie sia della catena dei fornitori e subfornitori che dei clienti. Significa guardare alle imprese a rete, il porto e l’aeroporto, che sono le uniche in grado di fare da software di connessione tra le diverse soggettualità locali, capitalizzando la loro centralità logistica. Significa guardare all’università che, insieme al parco scientifico e tecnologico, possono fare da concentratori e da diffusori della conoscenza, da knowledge hub territoriali riproducendo, così, il capitale umano normalmente concentrato e parcellizzato nelle singole imprese. E infine significa guardare alla grande città, in quanto istituzione locale, nodo di scambio fra la cultura locale e quella internazionale ma, soprattutto, luogo di sperimentazione di nuovi strumenti di comunicazione e di fornitura di servizi.

Affinché ciò avvenga, è necessario far anche sì che le singole iniziative s’innalzino a sistema prendendo in debita considerazione le diverse dimensioni del cambiamento in atto. Si potrebbe prendere spunto dal teorema del provocatorio Richard Florida, puntando sulle tre T che garantiscono lo sviluppo: tecnologia, in una logica di networking; talento, fatto di capitale individuale, di competenze e di propensione all’innovazione; tolleranza, che garantisce al territorio e all’impresa la necessaria apertura verso la diversità culturale, organizzativa e produttiva e che significa, nel caso del nordest, integrazione lavorativa, sociale e culturale degli immigrati, risorsa strategica dei sistemi produttivi e sociali in atto in quest’area.

20 Dicembre 2000

 

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