Mezzogiorno in crisi continuata, ma l’Italia non tampona il declino

di Giuseppe Roma.

Delle anticipazioni del Rapporto Svimez 2018 i media hanno dato risalto soprattutto al deflusso di popolazione dal Sud, alla neo-emigrazione che ben fotografa la mancanza di opportunità lavorative e al peggioramento delle condizioni sociali. Ma il documento dà conto anche di un sistema italiano, per molte ragioni, incapace di generare sufficiente valore economico. A dieci anni dalla prima crisi finanziaria, infatti, non abbiamo ancora riconquistato il terreno perduto. Il Pil del Sud nel 2017 è ancora sotto del 10% rispetto a quello del 2008, ma anche il Centro-Nord è sotto ancora del 4,1%. Tutti i grandi paesi europei sono tornati a crescere: il Pil dell’Euro Area è oggi superiore del 6,2% a quello del 2008, persino quello della Spagna segna più 2,8%, mentre al prodotto italiano dell’ultimo anno mancano ancora 94 miliardi per poter eguagliare quello di dieci anni fa (cioè vale il 5,5% in meno). Non può quindi meravigliare se nello stesso periodo il tasso di occupazione dei giovani fino ai 34 anni si sia ridotto dal 50% al 41% per l’intero paese, con diminuzioni sia al Sud che al Nord.
Mentre il comparto dei servizi ha sostanzialmente tenuto, l’industria in senso stretto ha avuto un robusto arretramento al Sud, e seppur in misura più ridotta, anche al Centro-Nord. Oggi per far crescere il manifatturiero ci vuole tecnologia, innovazione, management, logistica etc. e le imprese non possono fare tutto da sole senza infrastrutture adeguate e un’università efficiente. La produzione industriale non può sottrarsi alla competizione, non gode di protezioni, come molti comparti terziari basati essenzialmente nel mercato interno. Ai ridotti volumi produttivi industriali bisogna considerare il crollo delle costruzioni il cui valore aggiunto si è ridotto, in modo omogeneo al Sud come al Nord, di un terzo in dieci anni. Quindi, al Sud si emigra perché non c’è lavoro e una politica di sostegno al reddito è indispensabile per tamponare un’emergenza. Ma non si può continuare a eludere il cuore del problema che resta legato alla velocità di transizione dell’industria verso le tecnologie, delle costruzioni verso la rigenerazione sostenibile delle città e del terziario verso una maggiore internazionalizzazione. Un programma per un vero cambiamento.

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