L’esplosione, un colpo mortale per Beirut

di Giuseppe Roma

La spaventosa esplosione che ha squarciato Beirut è l’ennesima ferita per una città che ha progressivamente perduto il suo fascino di metropoli mediterranea colta e accattivante. Per chi ha avuto occasione di frequentare, anche occasionalmente, questa realtà ritenuta fino agli anni ’60 un “paradiso”, ogni colpo inferto alla sua struttura e ai suoi abitanti rappresenta una stilettata che ferisce i sentimenti almeno al pari dell’allarme per le inevitabili conseguenze politiche sullo scenario mediorientale. L’anima di un luogo, come ha ben descritto il grande psicanalista James Hillman, cattura e attrae al di là dei fatti contingenti che possono degradarlo fino alla definitiva rovina. Questo vale anche per Beirut, certo in crisi e con una borghesia ormai pallida epigone dei tempi migliori. Restano alcuni caratteri su cui tentare l’ennesima resurrezione. Le profonde radici storiche ne hanno fatto un polo culturale fin dai tempi dei romani con la scuola di diritto di Ulpiano e Papiniano, rinnovata secoli dopo nella straordinaria esperienza dell’ American University ( fondata nel 1866) dove si sono formate per molto tempo le classi dirigenti di tutto il Medio Oriente. La tradizione mediterranea resta forte e si respira ancora passeggiando sulla Corniche o assaporando una cucina che rivaleggia con quella del Sud Europa. Ma il vero spirito che ha reso grande Beirut in passato è stato il suo cosmopolitismo, bruscamente interrotto con la lunga guerra civile (1975 – 1990). In Libano non si fanno censimenti della popolazione dal 1932 per mantenere inalterato il rapporto fra cristiani (allora il 54%) e musulmani (44%), ora ribaltati. La costituzione,infatti, assegna le tre più importanti cariche dello Stato ai principali gruppi religiosi: cristiano-maroniti, sunniti e sciiti. Una convivenza che si è spezzata dividendo – anche senza muro – una Beirut Est cristiana da una Beirut Ovest musulmana. Alla fine della guerra civile, la città aveva l’aspetto di un colabrodo, con gran parte degli edifici sbrecciati dai colpi di mortaio, era presidiata dai carri armati siriani, ma seppe ritrovare le energie per risorgere. Non senza polemiche e proteste da parte di archeologi e uomini di cultura, a partire dal 1994, il centro di Beirut fu raso al suolo, non dai carri armati ma dalle ruspe, per realizzare Solidere un grande distretto finanziario e urbanistico di grattacieli. Promotore era quel Rafiq Hariri, libanese divenuto costruttore in Arabia Saudita, primo ministro in diversi periodi e poi assassinato nel 2005. La crisi economica di questi mesi e l’esplosione del porto, hanno rimesso in ginocchio Beirut, forse ormai troppo debole, a causa di divisioni e rivalità, per poter immaginare un futuro se non da paradiso almeno da purgatorio.

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