L’ABC della ricostruzione. I tre mali da contrastare.

di Giuseppe Roma

La frequenza con cui l’Italia viene sconvolta dai terremoti non ha prodotto una consolidata cultura, quasi un protocollo, sul come gestire la fase successiva al drammatico impatto distruttivo del sisma. Certo, ciascun’area colpita presenta specificità sue proprie che influiscono sui programmi di ricostruzione. L’estensione e la morfologia territoriale, la collocazione geografica, la densità abitativa. Fra i terremoti più recenti, ad esempio, L’Aquila rappresenta un caso a sé in quanto città con una forte concentrazione di abitanti, un rilevante patrimonio storico-monumentale e grandi strutture tipiche di un capoluogo di provincia. Fatte salve le differenze, però, la ricostruzione dovrebbe seguire almeno tre regole generali, un semplice ABC dei pericoli da evitare.
Iniziamo dalla “A”, come Affarismo, un male da combattere con forza in quanto causa d’ inefficienze e sofferenze. La ricostruzione determina necessariamente una considerevole iniezione di denaro pubblico in grado di suscitare molti appetiti, anche illegittimi. Le risorse finanziarie servono, ma entro rigorosi meccanismi ispirati al principio di sobrietà. Il bilancio della ricostruzione di Umbria e Marche per il terremoto del 1997, secondo quanto riportato dal Messaggero, ha visto una stima dei danni per 7,7 miliardi di euro, 11,6 miliardi stanziati e, a distanza di venti anni, contributi utilizzati per 5,4 miliardi. Stime e finanziamenti vanno valutati con cura, sulla base delle effettive necessità.
Poi, “B” come Bricolage. Bisogna evitare una logica del fai-da-te, del rappezzo senza una strategia unitaria d’intervento che comprenda, oltre che al ripristino edilizio, anche la tenuta sociale ed economica delle comunità. Inoltre, visto che siamo un paese soggetto a terremoti, con un rilevante patrimonio storico, dovremmo poter elaborare tecniche di ripristino e messa in sicurezza, individuare materiali e formulare principi per la pianificazione urbanistica. Un bagaglio conoscitivo ed operativo da mettere a sistema e rendere disponibile per la fase successiva all’emergenza.
Infine, “C” come: contenere l’eccesso di Comunicazione. Il terrore di tutti i terremotati è di essere lasciati soli una volta “spenti i riflettori mediatici”. Emblematica la reazione di Renzo Piano al progetto Casa Italia: ci vogliono diverse generazioni per rimettere in sicurezza il territorio. Una logica incompatibile con la semplice proiezione comunicativa tendente da una parte a offrire un’immediata immagine d’efficienza e ancor peggio, dall’altra, ad alimentare la ricorrente “ronda” giornalistica sulle responsabilità.

Giuseppe Roma

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