Alla ricerca di regole nella rivoluzione del lavoro autonomo

Il Dossier, presentato a Roma in occasione del Festival del lavoro, fornisce elementi per l’analisi e la valutazione del potenziale impatto del disegno di Legge sul lavoro autonomo ancora in corso di discussione in parlamento. La discussione sul disegno di legge per la tutela del lavoro autonomo e la regolazione del “lavoro agile” porta con sé l’opportunità di una riconsiderazione del complesso arcipelago degli indipendenti. E’ certo un bene introdurre garanzie per una componente così significativa degli occupati, in parallelo alle tutele del lavoro dipendente, con cui pure, in passato, si è consumata una divisione che ha rasentato il conflitto. Oggi le spontanee dinamiche del mercato hanno portato non pochi disagi a chi rischia in proprio, aggravati da una pressione di sempre maggiori incombenze esterne al processo produttivo (burocrazia, fisco, costi da inefficienze pubbliche…). Un aiuto può venire da norme che sanciscano principi basilari in tema di diritti, di welfare, di formazione, di rapporti con la committenza.
Influenzato com’è e dal lungo periodo recessivo, in presenza della rivoluzione digitale e di una revisione dei bisogni sociali sempre più centrati su servizi per la persona, il lavoro autonomo non si presta a interpretazioni univoche. La percezione in molti ambiti e di una fase espansiva, i numeri certificano una continua e progressiva caduta. Dal 2001 (l’anno della globalizzazione) al 2008 gli autonomi sono diminuiti in Italia di 1,427 milioni, dal 2008 al 2016 di ulteriori 522mila.Nel primo periodo i dipendenti sono cresciuti di 3.318mila, per poi diminuire fino al 2014 e tornare a crescere successivamente. In realtà nell’ultimo anno (1°trimestre 2015 -2016) anche gli autonomi la cui attività comprende l’utilizzo di dipendenti (27% del totale) sono cresciuti di 27mila unità, mentre quelli senza dipendenti e i collaboratori sono calati di 128mila.Cè quindi una significativa ristrutturazione interna a un comparto di per sé molto disomogeneo. Da una parte c’è l’universo dei commercianti e degli artigiani, poi i professionisti ordinisti e le nuove professioni, infine si sta affermando la vivace nebulosa dei digital, degli start-upper, degli innovativi, dell’industria creativa individuale. Non c’è una sola categoria che possa considerarsi fuori da processi di ibridazione, di destrutturazione e rottura con vecchi schemi. Chi risponde alla sfida, resiste e cresce. Chi interpreta la fase attuale coglie le opportunità. Per questo vecchi e nuovi professionisti sembrano allargare la loro presenza e in Europa vengono stimati in 50 milioni pari al 22% degli occupati. Magari non tutti sono pienamente autonomi, e d’altronde a molti dipendenti viene richiesto un coinvolgimento e un’autonoma responsabilizzazione. Quindi, gli strumenti e le politiche attive – dopo il primo passo – dovranno conformarsi in modo flessibile a un tale disomogeneo universo.

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